“Questo, secondo me, è un colpo di stato mondiale”
Dott. Massimo Citro (Medico e Psicoanalista) [1]
Poco tempo fa un mio amico mi ha confidato, con la massima buona fede, di essere convinto che la pandemia sia frutto di un’abile mossa delle compagnie petrolifere le quali, avendo visto i propri profitti minacciati dall’avanzare dell’economia verde e delle auto elettriche, avrebbero con essa trovato il perfetto escamotage per recuperare le quote di mercato a rischio, traendo il massimo vantaggio dall’impulso mondiale a fare ripartire l’economia messa a dura prova dal lockdown.
Il virus è stato creato intenzionalmente in un laboratorio di Wuhan o è frutto di una mutazione naturale che si è trasferita all’uomo? E se è stato creato intenzionalmente, è stato intenzionalmente messo in circolazione? Per il vantaggio di chi? Con la complicità di chi?
Nel suo libro “Menti sospettose”, lo studioso Rob Brotherton ci tiene a sottolineare che non è affatto il contenuto di una teoria a renderla “complottista”, ma il suo funzionamento, cioè il modo in cui viene costruita e mantenuta. Uscito nel 2017, il libro fornisce, oltre ad una interessante antologia di teorie del complotto nella storia, le principali caratteristiche del modo di pensare complottista: si tratta di una cornice che prescinde il contenuto di cui è riempita [2]. Utilizzare questo tipo di pensiero di fronte a fenomeni complessi presenta, ci illustra l’autore, una serie di vantaggi.
Almeno capisco: dalle cause ai colpevoli il passo è breve
Il bisogno di trovare delle cause che siano in grado di spiegare ciò che accade è profondamente radicato nell’uomo e potrebbe essere all’origine (la causa di?) gran parte della storia del pensiero e della scienza. Saper spiegare qualcosa e saperla controllare sono due idee che passeggiano spesso insieme, in compagnia della loro amica poter prevedere ciò che accadrà.
E quando ci mettiamo alla ricerca delle cause di qualcosa, niente sembra tentarci quanto il presumere che qualcuno avesse intenzione di farlo accadere. Brotherton lo chiama il pregiudizio di intenzionalità: la capacità tutta umana di immaginare gli stati mentali degli altri può portare a creare mondi paralleli in cui tutto ciò che accade è frutto dell’azione deliberata di qualcuno. E poco importa se i colpevoli sono le lobby petrolifere (come sembrava presumere il mio amico) o un potente gruppo satanico impegnato nell’obnubilamento delle libere menti dei cittadini tramite la finta paura del virus; qualcuno l’ha voluto, ha mosso i fili affinché accadesse.
Unire i punti ci fa vedere orse (maggiori o minori) nel cielo
Le teorie del complotto riguardanti il Covid-19, però, non sono limitate alla diffusione del contagio: alcuni sono convinti che l’insieme dell’informazione riguardante il virus sia frutto di un immenso complotto, che coinvolge l’interezza dei mezzi di comunicazione (giornali, riviste, televisioni, scienziati), mentre in realtà la pandemia altro non sarebbe che un’immane frottola, raccontata per indebolire e impaurire le menti semplici. E allora bisogna scavare e stare all’erta: la verità (della quale i teorici del complotto pensano di possedere già un’immagine piuttosto chiara) emergerà a piccoli pezzi. E di solito nel posto più insospettabile, proprio perché meno controllato dai nostri oscuri persecutori. Studiosi “non allineati”, giornalisti e blogger, politici, ogni persona proponga una sua verità contraria a ciò che viene sostenuto dalla maggioranza diverrà maggiormente degno di fiducia, anche grazie alla nostra naturale predilezione per le figure degli eroi, solitari ma coraggiosi, che riescono a prevalere contro forze schiaccianti. Ogni “segnale” diviene un indizio di crimine. Unire i punti, allora, è al contempo un modo di cercare le prove di qualcosa di cui si è già convinti e un dovere civile finalizzato a smascherare il complotto. La strada verso l’ossessione è lastricata di buone intenzioni.
Prove dai social
A proposito di Covid, una delle teorie del complotto di maggior successo sostiene che la 5g, la nuova generazione di tecnologie per la telefonia mobile, incrementi in realtà la potenza del virus. Un’altra versione sostiene che il virus sia stato attivato dalla tecnologia 5g che costituirebbe, insieme al virus, una formidabile arma biologica su scala mondiale. Uno studio (Bruns e colleghi, 2020) ha studiato nel dettaglio i post su facebook, mostrando come le condivisioni dei post a sostegno di tale teoria abbia subìto un’accelerata alla fine di Febbraio, continuando a crescere progressivamente a Marzo per poi impennarsi decisamente nel mese di Aprile. E’ ormai verificato che l’utilizzo dei social network è correlato positivamente alla credenza nelle teorie del complotto (Allington e colleghi, 2020), ma è necessaria una certa cautela prima di trovarvi una causalità: in altre parole, è probabile che la mentalità complottista sia saldamente radicata nel nostro funzionamento cerebrale e che i social network non ne siano che un tramite particolarmente efficace [3]. Gli studiosi non sono in accordo sul numero di teorie del complotto in circolazione né sulla percentuale totale della popolazione che sembra credervi (Freeman e altri, 2020; Sutton e Douglas, 2020): seguendo Brotherton, secondo il quale la percezione del complotto è una modalità di pensiero (o se volete una modalità di costruzione della realtà), è probabile che in alcune fasi (probabilmente quelle di maggiore incertezza o disagio) la percentuale di persone che vi hanno fatto ricorso sia rilevante.
Il problema è il complotto, non il virus
Le teorie del complotto si accompagnano, non sorprendentemente, a comportamenti contrari alle più semplici indicazioni per prevenire il contagio (Allington e altri, 2020; Oleksy e altri, 2020; Swami e Burron, 2020): e come potrebbe essere altrimenti? Se la pandemia (ammesso che esista) è frutto di un complotto, il campo di battaglia è un altro, ben più importante della banalità di mascherine, distanziamento sociale e lavaggio mani. E’ necessario invece smascherare (!!) i congiurati, andando a ricercare (a differenza di coloro che ancora si rifiutano di “aprire gli occhi”) le tracce del crimine che, loro malgrado, i colpevoli hanno lasciato per strada. Ed è da qui che nasce la preoccupazione degli studiosi: la correlazione fra la “fede” in una teoria del complotto e l’omissione delle più elementari norme igieniche (bruciamo le mascherine!) mette a rischio proprio chi sembra convinto che il contagio non esista.
[1] L’intervista al dott. Citro in cui ha espresso la frase riportata, assieme a molte altre, è rintracciabile all’indirizzo web https://www.oltre.tv/dottor-citro-ordini-superiori-morti-video/.
[2] Ad esempio l’autore ci mette in guardia dalla presunzione tipica di chi pensa di avere ormai ottenuto un “pensiero limpido”: spesso sono le stesse persone che, in tempo di pandemia, attribuiscono l’intera colpa del recente aumento dei contagi ai seguaci delle teorie del complotto. Che rischia di divenire un’altra teoria del complotto.
[3] Le cosiddette “false notizie”, infatti, ci sono sempre state, almeno quanto le teorie del complotto. Non sono affatto, come pensano alcuni, frutto di questo particolare momento storico né dell’illusione di conoscenza che spesso sembra fornire Internet. Particolarmente illuminante al riguardo è la testimonianza dello storico March Bloch (1994) che, fine osservatore della natura umana, rilevava l’incredibile efficienza delle catene di trasmissione delle false notizie durante la Grande Guerra. Esse sembravano in grado di estendersi e ramificarsi fino agli angoli più remoti del fronte, in un tempo in cui non solo non esistevano social network e telefoni cellulari, ma in cui una semplice linea telefonica era una tecnologia rara e rigorosamente riservata alla trasmissione degli ordini militari.
Riferimenti Bibliografici
Bloch, M. (1994). La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni (1921). Roma: Donizelli Editore.
Brotherton, R. (2017). Menti sospettose. Perchè siamo tutti complottisti. Milano: Bollati Boringhieri.
Freeman, D., Waite, F., Rosebrock, L., Petit, A., Causier, C., East, A., … Lambe, S. (2020). Coronavirus conspiracy beliefs, mistrust, and compliance with government guidelines in England. Preprint. Psychological Medicine, 21, 1–13.
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