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Lo studio della struttura dell’atomo, che ora diamo per scontata – elettroni, neutroni, protoni; il nucleo formato dagli ultimi due sta in centro, e attorno circolano gli elettroni – prima degli esperimenti di Rutheford si basava su assunti del tutto diversi.
Se la materia è scomponibile – si dicevano gli studiosi – essa può essere divisa in pezzi sempre più piccoli, e probabilmente continuando a suddividerla sarà possibile ottenere dei pezzi talmente piccoli da essere indivisibili. I ricercatori immaginavano, in altre parole, che esistessero dei mattoncini irriducibili, che non potevano essere ulteriormente divisi, le componenti fondamentali della materia. Davano per scontato che fossero molto duri e compatti, formati dalla materia più compressa…poi arrivò Rutheford.
Egli pensò di valutare la struttura dell’atomo provando a bombardarlo con un fascio di radiazioni; esse, colpendo le varie parti dell’atomo, avrebbero deviato la loro direzione in funzione degli ostacoli incontrati sul loro cammino, le varie parti dell’atomo oppure la sua fondamentale, indivisibile compattezza.
Dai risultati dei suoi esperimenti Rutheford ne ricavò però un’immagine del tutto diversa: non solo gli atomi non erano compatti, densi al loro interno, ma erano soprattutto vuoti! Gli elettroni, infatti, turbinano attorno al nucleo, ma se dovessimo ingrandire un atomo fino alla grandezza della cupola di San Pietro, il nucleo sarebbe grande come un granello di sale al centro. Pensate che paradosso: noi percepiamo la realtà come compatta, costituita di materia solida e densa, ma dallo studio degli atomi emerge che quest’ultima è in realtà costituita fondamentalmente da spazio vuoto!
Ma è davvero così? In realtà lo studio di Rutheford costrinse gli studiosi a cambiare radicalmente prospettiva: se ragioniamo in termini di entità, di cose, l’atomo è quasi tutto vuoto, ma non stiamo considerando che esiste un qualcosa più difficile da rilevare che lo tiene insieme e gli dà stabilità e densità, ed è la relazione fra le sue parti. Mi spiego meglio: possiamo descrivere l’atomo a partire dal concetto di materia (ed in questo caso ci troviamo a descrivere qualcosa che non esiste, dato che è quasi tutto vuoto) oppure a partire dal concetto di relazione fra piccole particelle (ed in questo caso parliamo di relazioni talmente forti che particelle minuscole possono legarsi fra di loro e darci la sensazione che la materia sia piena). Questo cambio di paradigma diede l’avvio ad una serie di riflessioni filosofiche che portarono alla teoria dei sistemi, e nel mio campo, alle Psicoterapie Sistemiche e Strategiche.
Ma l’esperimento di Rutheford portò anche ad un altro cambiamento nel modo di pensare alla scienza: egli infatti non si era limitato ad osservare l’atomo dall’esterno. Per poter costruire il suo modello, egli aveva invece agito sul fenomeno che voleva studiare (tramite il ‘bombardamento’ radioattivo), e facendo ciò, era stato in grado di scoprire qualcosa di nuovo. Ma la scienza si era, fino a quel momento, sforzata di studiare il mondo tramite osservatori distaccati, indipendenti e ‘freddi’, che potessero costruire una conoscenza ‘oggettiva’. L’esperimento di Rutheford aveva però mostrato che questo è impossibile: ogni volta che osserviamo qualcosa la modifichiamo, perchè interagiamo costantemente con tutto ciò che ci circonda.
Questa semplice constatazione si situa alla base del costruittivismo. Seguite il ragionamento: se non può esistere un osservatore neutrale (dato che la semplice azione di osservare un fenomeno lo modifica), questo implica che siamo costantemente impegnati a co-costruire la realtà che viviamo, mentre la osserviamo. Insomma: non c’è una distinzione netta fra l’osservatore e l’osservato, e la realtà in cui siamo immersi è costruita anche da noi.
Niente male come responsabilità.
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Dott. Giacomo Crivellaro, Psicologo Psicoterapeuta
a Firenze e Parma
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