Where do you want to go today?
Somewhere you could never take me.
(Chumbawamba)
Qualche anno fa mi stavo avviando verso lo studio di Firenze e passai dalla stazione di Santa Maria Novella; mentre uscivo dal bar col sapore del caffè in bocca, alzai gli occhi stupito dal convegno che si erano dati centinaia di uccelli migratori proprio sopra la struttura della stazione e i binari, centinaia di uccelli migratori in procinto di partire. Abbassando nuovamente lo sguardo mi accorsi però che attorno a me ero l’unico a godersi lo spettacolo; chi, concentrato sul semaforo, aspettava il verde, chi chiacchierava con l’amico alla fermata dell’autobus, chi mangiava una brioche e tanti, non so se dire troppi, catturati dagli smartphone.
Mi resi conto che in quel preciso istante milioni, se non miliardi, di persone nel mondo non stavano vivendo ciò che stava accadendo loro, ma qualcos’altro, qualcosa di indefinito e virtuale, una realtà pur esistente anche se meno concreta, quella riflessa su quei piccoli schermi, e nella mente da loro catturata.
Consideriamo quanto segue: l’utilizzo dei social media influenza negativamente il godimento, il coinvolgimento e la memoria della esperienze (Tamir et al., 2018). Da un lato, l’effetto distrazione dello “scrollare” distoglie le persone da ciò che sta accadendo attorno a loro, un costante sottrarre all’attenzione ciò che accade. Scrivere sui social ha lo stesso effetto: l’occhio sempre rivolto al pubblico virtuale a cui sono indirizzati i post costruisce, assieme al pubblico virtuale, una virtualmente sempre presente performance da rispettare. E i selfie? Parliamone: quando ci concentriamo sull’obiettivo di registrare un evento, ci perdiamo l’esperienza di quell’evento.
Ogni volta che cerchiamo di registrare ciò che ci accade ce ne distanziamo; un effetto paradossale che è stato rilevato con le foto, a prescindere che siano scattate tramite smartphone o altro (Henkel, 2014; Soares e Storm, 2017). Ma questo non deve stupire; ogni strumento di registrazione è infatti anche strumento di misurazione e rappresentazione.
Pare inoltre che il solo fatto di avere a disposizione un magazzino, virtuale oppure no, di informazioni a cui poter attingere depotenzia la capacità di reperire quella informazione nella nostra memoria. Con la consapevolezza di avere la possibilità di recuperare quella informazione in seguito, se ne parte l’accuratezza del ricordo. Sembra che, nel nostro mondo permeato di cyber-strumenti si sviluppi un tipo di memoria basata sui procedimenti (se quale sito, motore di ricerca, folder nel computer o nel cellulare, eccetera) per recuperare le informazioni più che sulle informazioni stesse. Il “dove”, in altri termini, diventa più importante del “cosa” (Sparrow e Wegner, 2011).
La crudele ironia di tutto ciò risiede nel fatto che sforzarsi di ricordare (o di avere dei “ricordi”) di ciò che ci accade, ci impedisce di viverlo. E di conseguenza di ricordarlo.
Bibliografia
Henkel, L. A. (2014). Point-and-shoot memories: The influence of taking photos on memory for a museum tour. Psychological science, 25(2), 396-402.
Soares, J. S., & Storm, B. C. (2017). Forget in a flash: A further investigation of the phototaking-impairment effect. Journal of Applied Research in Memory and Cognition.
Sparrow, B., Liu, J., & Wegner, D. M. (2011). Google effects on memory: Cognitive consequences of having information at our fingertips. science, 1207745.
Tamir, D. A., Templeton, E. M., Ward, A. F., Zaki, J. (2018). Media usage diminishes memory for experiences. Journal of Experimental Social Psychology, 76 (161-168).
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