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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

Oggi parleremo delle risposte psicologiche alla quarantena e lo faremo rifacendoci a tre studi, tutti open source per meglio garantire la fruizione dei più aggiornati dati scientifici per affrontare la pandemia in corso.

Il primo è uno studio condotto tramite un questionario somministrato online a 1210 persone residenti in 194 città cinesi (Wang e altri, 2020). I dati risalgono ai giorni compresi tra il 31 gennaio e il 2 febbraio, un periodo per loro comparabile a quello che stiamo vivendo noi adesso, sebbene la quarantena cinese sia stata più totale e rigida di quella che tuttora possiamo sperimentare in Italia.

La prima osservazione degna di nota è la pervasività delle reazioni psicologiche di stress, depressione e ansia, rispettivamente riportate dal 32,1, 30,3 e 36,4 percento dei soggetti. Le fonti principali di preoccupazione includevano la possibilità di infettarsi, specialmente quando c’era già un problema di salute precedente e la salute degli altri membri della famiglia; sorprendentemente sottostimati i possibili futuri problemi di natura economica, probabilmente per il forte stato di salute (è proprio il caso di dirlo!) dell’economia cinese.

Ma parlare di semplice “ansia” o “paura” utilizzando quindi dei termini costruiti in altri contesti, quando una pandemia come quella in atto non era neanche immaginabile, potrebbe costituire un approccio concettuale che non ci possiamo permettere, come professionisti della salute mentale. Il costo potrebbe essere l’incapacità di conoscere un fenomeno nuovo perchè troppo impegnati a riconoscere ciò che già conosciamo.

Se infatti la paura è suscitata da uno scenario che riusciamo a immaginare, qui sappiamo che accadranno tante cose, che ne cambieranno altrettante, ma fatichiamo ad immaginare quali. Potremmo in questo caso parlare di angoscia, della sensazione opprimente di combattere un nemico troppo più grande di noi, la cui complessità ci condanna alla sconfitta; la depressione, in questo senso, sarebbe la naturale conseguenza della perdita della speranza di farcela, il percepirci vittime impotenti degli eventi che ci travolgono (vedi anche Muriana et al., 2006 o questo post), lasciandoci intimoriti e confusi.

Nel secondo studio (Brooks e altri, 2020) sono passate in rassegna una serie di ricerche sulle quarantene degli anni passati (SARS in testa, ma anche ebola, ed altri) alla ricerca dei fattori che più di altri costituiscono maggiore fonte di stress. Emerge che:

il livello di stress psicologico è direttamente proporzionale alla durata della quarantena. Sopra i dieci giorni si alza decisamente, continuando in seguito a salire. In nessuno degli studi analizzati era presa in esame una quarantena così lunga come quella a cui stiamo assistendo oggi e questo, purtroppo, non può costituire che una fonte di preoccupazione.

– la paura di essere infettati o, e non dobbiamo mai dimenticarcelo, di infettare qualcuno dei nostri cari, è molto forte. Il pensiero di poter essere responsabili della morte di un parente, oppure, nel caso del personale sanitario, di un paziente, può essere devastante e tormentare fino a conseguenze estreme la psiche di chi, per colpa reale o presunta, si trova a fronteggiarlo.

– la frustrazione di non avere più accesso alle nostre quotidiane fonti di piacere o di gratificazione non è da trascurare. Siamo fin troppo consapevoli di quanto la vita della quarantena può tramutarsi in un angoscioso ripetersi di ore sempre uguali, giornate che, eco di sè stesse, nulla sembrano creare se non l’assenza di significato.

– Il pensiero di non poter contare sul supporto delle istituzioni dello stato, della comunità o della famiglia risulta in un plumbeo senso di isolamento o di angoscia. E la posizione della comunità, che chiede al singolo un pezzo di rinuncia per il bene di tutti, deve essere quello di chi supporta tale sacrificio, giorno dopo giorno.

– Anche la mancanza di informazioni chiare, nella quale almeno in parte ci dibattiamo tuttora, scatena un senso di incertezza sul presente e sul futuro nel quale è difficile capire il senso e lo scopo di tante rinunce. Si tratta come sappiamo della situazione nella quale ci troviamo tuttora, caratterizzata dall’incertezza: quanto durerà la quarantena? E dopo, il virus sarà sconfitto o tornerà ancora? Si potrà tornare a lavorare? Quando? E come?

Con il terzo studio (Pancani e altri, 2020, su campione italiano e molto responsabilmente reso disponibile prima della sua pubblicazione a questo link) mette l’accento su due variabili, entrambe molto importanti nel determinare le reazioni depressive, di alienazione, indegnità e impotenza che tendono a verificarsi: l’isolamento sociale e le condizioni abitative. Se la mancanza di contatti faccia a faccia può essere compensata parzialmente da quelli via internet, per condizioni abitative non si pensa semplicemente alla quantità di spazio. Pensiamo ad esempio a quanta differenza possa fare avere un accesso esterno (giardino o simili), oppure alla presenza di maggiore o minore luminosità.

E così, viene delineandosi con più chiarezza la parte di popolazione a rischio: coloro che non sono in grado di compensare i contatti dal vivo con quelli online e coloro che sono costretti in spazi ridotti, per sovrappopolamento o grandezza delle case.

Leggendo questi dati non possiamo non notare che si tratta di dati aggregati; come tutti i numeri faticano a fotografare l’enorme galassia dell’umanità che in questo momento è in difficoltà. Dovremmo infatti aggiungere all’elenco coloro che, chiusi in casa e angosciati per il presente e per il futuro, sfogano gli uni sugli altri il loro disagio; la rabbia in famiglia è inversamente proporzionale al numero di metri quadri a disposizione. Più gente in meno spazio, maggiore il disagio.

Ma ci sono coloro che vorrebbero stare in famiglia e per la quarantena o per l’isolamento non possono farlo; coloro che, l’amore lontano, si struggono nel desiderio; coloro che temono di perdere il lavoro; coloro che soffrono per una persona mancata per il virus, di un lutto non esplicitato, non ritualizzato, non condiviso. Nei prossimi post proverò a parlarvi di tutte queste situazioni, perchè ci sono anche tutti loro.

Ci siamo tutti.

 

Riferimenti bibliografici

Brooks, S. K., Webster, R. K., Smith, L. E., Woodland, L., Wessely, S., Greenberg, N., & Rubin, G. J. (2020). The psychological impact of quarantine and how to reduce it: rapid review of the evidence. The Lancet.

Muriana, E., Pettenò, L., & Verbitz, T. (2006). I volti della depressione. Firenze: Ponte alle Grazie.

Pancani, L., Marinucci, M., Aureli, N., & Riva, P. (2020). Forced social isolation and mental health: A study on 1006 Italians under COVID-19 quarantine.

Wang, C., Pan, R., Wan, X., Tan, Y., Xu, L., Ho, C. S., & Ho, R. C. (2020). Immediate psychological responses and associated factors during the initial stage of the 2019 coronavirus disease (COVID-19) epidemic among the general population in china. International Journal of Environmental Research and Public Health17(5), 1729.



Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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