Correva l’anno 1984. Mentre il sottoscritto emetteva i suoi primi vagiti, veniva pubblicato uno studio che, nella sua apparente semplicità, gettava una luce, mai così chiara, su come i tentativi di controllare il proprio pensiero possano controreagire provocando un risultato opposto da quello sperato.
Ma andiamo con ordine: lo studioso, Dick Wagner, dopo aver chiesto ad un gruppo di persone di leggere un semplice testo relativo agli orsi polari, aveva diviso il gruppo in due – alla prima metà aveva chiesto, anzi imposto con enfasi, di non pensare agli orsi polari durante la prova successiva. Ogni partecipante era stato fatto accomodare di fronte ad un tavolino con un pulsante, in modo che, se disgraziatamente avesse pensato agli orsi polari, avrebbe dovuto segnalarlo per tramite del pulsantino. All’altra metà del gruppo era stato semplicemente detto che avrebbero potuto pensare a ciò che volevano e che, se avessero pensato agli orsi polari, avrebbero dovuto schiacciare il pulsante.
Quelle surprise, i risultati furono inequivocabili. Quando una persona cerca di non pensare a qualcosa, deve per prima cosa sapere, ed avere chiaro in mente, ciò a cui non deve pensare: ma ormai è troppo tardi, perché l’ha già pensato. “Non pensate agli orsi polari!” e tutti ci pensavano: un paradosso.
Dieci anni prima (il sottoscritto non era stato neanche immaginato), il cosiddetto gruppo di Palo Alto, una eterogenea squadra di studiosi di psicologia, psichiatria, logica matematica e antropologia aveva dato alla luce due libri che avrebbero segnato la storia della psicoterapia e della psicologia: la Pragmatica della Comunicazione Umana e il Change: sulla formazione e la soluzione dei problemi, in cui si studiava per la prima volta la logica paradossale di alcune tipologie dei disturbo psicologico. L’approccio avrebbe ispirato anche il gruppo milanese di psicoterapia della famiglia guidato da Mara Selvini Palazzoli, che avrebbe a sua volta prodotto un lavoro, Paradosso e controparadosso, che riprendeva alcune idee della Pragmatica alla ricerca del sentiero che da un paradosso conduce al suo opposto, in grado di annullarlo: il controparadosso.
Con il lavoro di Giorgio Nardone e del Centro di Terapia Strategica di Arezzo il cerchio si chiude: il paradosso del controllo mentale viene terapeuticamente portato al collasso tramite un controparadosso – rendere volontario proprio il pensiero che la persona in questione stava cercando di sopprimere e cancellare. La persona viene guidata, attraverso una processualità rigorosa ma adattiva, a intenzionalmente cercare il pensiero che, ormai intrusivamente, si presenta suo malgrado alla coscienza. L’effetto è sorprendente: dapprima il pensiero viene cercato e trovato, poi viene cercato e trovato ma la mente tende a distrarsi, poi viene cercato ma neanche trovato perché istantaneamente la mente si dedica ad altro. Otteniamo così un protocollo efficace ed efficiente per la terapia del disturbi ossessivi.
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