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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

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Pensare che le nostre caratteristiche siano determinate dal nostro DNA implica un certo grado di impotenza. Se i miei geni (che non ho scelto io) determinano chi sono, quali sono le possibilità di scelta che mi rimangono? Che cosa posso fare o non fare io per modificare il mio destino se è stato creato millenni fa, e mi è infine stato imposto prima ancora che fossi nato?

Ecco perchè, per alcune persone, attribuire troppo potere alla genetica può costituire una condanna. Ed ecco il perchè dell’articolo che segue: mostrare che nessuna condanna è definitiva, ognuno di noi ha una possibilità di appello. Persino sulla genetica? Scopriamolo insieme.

 

Il Progetto Genoma Umano: la mappa del DNA scambiata per la mappa dell’uomo.

 

Forse vi ricorderete: agli inizi degli anni ’90 fu avviato il Progetto Genoma Umano. L’obiettivo dichiarato era quello di rilevare una mappatura completa del DNA umano, basandosi su una premessa: che il DNA fosse l’unico determinante non influenzato da esperienze successive, l’unica variabile che, inevitabilmente, produce ciò che deve, senza se e senza ma.

Le aspettative erano grandi: una volta codificato il genoma umano, si diceva, si sarebbe potuta trovare finalmente l’origine di molte malattie irreversibili. Patologie che fino a quel punto avevano fatto paura per l’impotenza con cui si era cercato  di affrontarle. Pensateci: Alzheimer, Parkinson, Schizofrenia, Psicopatia ma anche il Cancro, la Cecità, la Sordità, l’Epilessia, l’Autismo.

Mi direte, erano altri tempi. Insomma, era caduto il muro di Berlino, il blocco sovietico si stava sgretolando sotto i nostri occhi, e con esso la minaccia di una guerra globale definitiva. Dietro alle sue crepe si poteva intravedere, fin quasi a toccarlo, quel futuro di democrazia e pace che, come molti sogni, si è dissolto come neve al sole all’alba del nuovo millennio.

Sicuramente conoscete la teoria: il DNA si traduce nel RNA, che fa sì che vengano sintetizzate le proteine. A quindi B quindi C e grazie al cielo se finalmente alla fine del ‘900, dopo le morti/suicidi delle grandi ideologie, arriviamo finalmente a qualcosa di vero, sicuro e lineare.

Più un organismo è complesso, maggiore sarà la quantità dei suoi geni: ovvio, no? Più articolata la struttura di un essere vivente, maggiore la quantità di informazione che un DNA deve contenere, e quindi la sua estensione. Famosa la frase di Walter Gilbert (premio Nobel per la chimica): “Tre milioni di basi di sequenza possono essere inserite in un solo compact disc, e uno sarà in grado di tirare fuori il cd dalla tasca e dire: ‘Ecco un essere umano: sono io!'”.

La disillusione

Un giorno, due monaci Zen erano in viaggio su un treno.

Guardando fuori dal finestrino, videro un gregge di pecore dal pelo particolarmente corto;

il più giovane dei due disse: “Quelle pecore sono appena state tosate”.

“Così sembra, guardandole da qui”, rispose il più anziano.

Come spesso accade, da nuove informazioni nascono nuove idee. Capita di accorgersi che ciò che prima pensavamo semplicemente non regge, quando scopriamo qualcos’altro. E allora ci troviamo di fronte ad una scelta: fare finta di non aver visto, difendendo ad oltranza le nostre opinioni preesistenti, oppure modificare ciò che pensiamo.

Che cosa mise in crisi la prospettiva della biologia molecolare alla base del Progetto Genoma Umano? La semplice constatazione che il numero di geni dell’uomo non è proporzionale alla nostra complessità.

Ecco i dati: nel nostro DNA ci sono circa 28.000 geni, in quello di una pianta 20.000, in quello di un verme 18.000. I conti non tornano. Gli studiosi infatti si aspettavano di rilevare centinaia di migliaia di geni nell’uomo, e quale la sorpresa quando si accorsero che tutto sommato non erano così tanti!

Questo costrinse i ricercatori a mettere in discussione molti aspetti del loro impianto teorico, basato sull’idea che la genetica fosse l’unica condizione necessaria e indispensabile a conoscere la biologia della vita sulla terra. Ecco il cambiamento: se il numero dei geni non è proporzionale alla complessità di un sistema vivente, significa che quest’ultima è determinata anche da qualcos’altro, qualcosa che non sono i geni.

Come fa notare Fox Keller (2001), “contrariamente ad ogni aspettativa, al posto di dare supporto alla nozione familiare di determinismo genetico [i successi del Progetto Genoma Umano] lanciano delle sfide critiche a questa nozione”.

L’importanza dell’espressione genica

In precedenza si pensava che il genotipo (cioè i nostri geni) influenzasse direttamente lo sviluppo del fenotipo (cioè l’insieme delle nostre caratteristiche). Gli studiosi hanno però, in seguito ai problemi suscitati dai risultati del Progetto Genoma, rilevato che in effetti pochissimi geni vengono attivati. In altre parole, la maggioranza dei nostri geni è silente, e non si conoscono le sue funzioni. 

I geni però possono essere attivati; ed è qui che interviene l’ambiente e l’esperienza, che hanno un ruolo di prim’ordine nell’attivare o nel disattivare i geni. E’ diventato sempre più chiaro che l’esperienza e l’ambiente hanno un’importante influenza su come (e se) vengono usati i geni che possediamo (Ducci, 2011). In altre parole, la faccenda si fa più complessa; è stata infatti coniata la parola “Epigenetica” in riferimento a queste nuove linee di ricerca.

Qualche esempio di epigenetica

L’epigenetica è la scienza che studia l’espressione genica (per un libro interessante, vedete Soresi e Garzia, 2015) e come quest’ultima viene modulata. Dopo l’esperienza del Progetto Genoma Umano, con la profonda messa in discussione della linearità dell’azione genica, sono stati condotti numerosi studi, al fine di capire come le esperienze possono modulare l’espressione del nostro DNA. Uno di questi ha rilevato che le esperienze traumatiche modificano la metilazione del DNA dei ratti (Roth et al., 2011). Per metilazione si intende la modalità principale con cui le cellule regolano l’espressione di un gene: aggiungendo al DNA un composto chimico, chiamato gruppo metile. Con le parole degli autori: “Queste osservazioni rafforzano l’idea che la metilazione del DNA rimane un processo attivo nel Sistema Nervoso Centrale adulto, che è modificabile dall’ambiente”. Altri studi, stavolta su esseri umani, hanno mostrato come l’espressione genica possa essere modificata da esperienze traumatiche subite durante l’infanzia o in età adulta (Smith et al., 2011; Labontè et al., 2012).

In uno studio più recente è stata inoltre rilevata l’inversione di alcuni effetti genici dei traumi psicologici dopo un’esperienza di psicoterapia (Morath et al., 2014); in altre parole sembra proprio che non solo le esperienze negative possono ‘deviare’ il funzionamento del nostro DNA, ma anche che esperienze positive possono fargli invertire la rotta. In altri termini, neanche il passato ha un’influenza lineare e unidirezionale su di noi (ne parlerò più approfonditamente in un prossimo articolo).

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Sumus omnes in manu genorum?

In conclusione, dire che siamo nelle mani dei nostri geni è una verità, ma anche un falso colossale. E se non fossimo, come lo siamo stati per tutto il secolo appena finito, alla ricerca di qualche certezza definitiva questo non dovrebbe costituire un problema. Possiamo infatti dire che i geni ci tengono senza dubbio nel loro palmo, ma assieme a una miriade di altre mani, che a loro volta interagiscono fra loro, a volte toccandosi, a volte spingendosi, a volte in armonia e a volte in conflitto. Siamo, in altre parole, senza dubbio in balia del nostro DNA, ma anche di noi stessi, degli altri e del mondo che ci circonda.

DOTT. GIACOMO CRIVELLARO, PSICOLOGO PSICOTERAPEUTA
FIRENZE E PARMA
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Bibliografia

Ducci, G. (2011). L’interazione gene-ambiente nella genesi del comportamento. Le implicazioni per il cambiamento terapeutico. In Del Castello, E., Ducci, G., Ipnosi e scienze cognitive. Integrare mente e cervello nella comprensione degli stati di coscienza. Milano: Franco Angeli.

Fox Keller, e. (2001). Il secolo del gene. Milano: Garzanti.

Labonté, B., Suderman, M., Maussion, G., Navaro, L., Yerko, V., Mahar, I., Burau, A., Mechavar, N., Szyf, M., Meaney, M. J. & Turecki, G. (2012). Genome-wide epigenetic regulation by early-life trauma.Archives of general psychiatry, 69(7), 722-731.

Morath, J., Moreno-Villanueva, M., Hamuni, G., Kolassa, S., Ruf-Leuschner, M., Schauer, M., Elbert, T., Burkle, A. & Kolassa, I. T. (2014). Effects of psychotherapy on DNA strand break accumulation originating from traumatic stress. Psychotherapy and psychosomatics, 83(5), 289-297.

Roth, T. L., Zoladz, P. R., Sweatt, J. D., & Diamond, D. M. (2011). Epigenetic modification of hippocampal Bdnf DNA in adult rats in an animal model of post-traumatic stress disorder. Journal of psychiatric research, 45(7), 919-926.

Smith, A. K., Conneely, K. N., Kilaru, V., Mercer, K. B., Weiss, T. E., Bradley, B., … & Ressler, K. J. (2011). Differential immune system DNA methylation and cytokine regulation in post‐traumatic stress disorder. American Journal of Medical Genetics Part B: Neuropsychiatric Genetics, 156(6), 700-708.

Soresi, E., Garzia, P. (2015) Mitocondrio mon amour. Strategie di un medico per vivere meglio e più a lungo. Milano: Utet.

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Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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