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Ogni ‘verità’ per essere creduta necessita di essere trasmessa in maniera persuasiva.
Giorgio Nardone
Le terapie strategiche hanno sviluppato una serie di tattiche conversazionali per aggirare le resistenze del paziente, al fine di destrutturare l’equilibrio patologico senza attivare i meccanismi di resistenza; tali tattiche possono cercare di deviare la forza del disturbo contro sè stesso, al pari di alcune tecniche di atterramento delle arti marziali, oppure cercare, tramite ‘benevoli imbrogli’, di proporre la prescrizione finalizzata al collasso del disturbo in modo leggermente sottotono, mascherando l’importanza che essa assume all’interno della terapia. Un altro esempio di utilizzo della resistenza contro sè stessa può essere osservato all’interno del colloquio, quando il terapeuta si propone di modificare la rappresentazione del mondo del paziente, ma restando sempre pronto a non opporsi mai a ciò che quest’ultimo esprime, utilizzandolo anzi a fini terapeutici.
E’ precisamente il tipo di situazione che si verifica nell’estratto del colloquio sottostante; si tratta di una trascrizione un po’ speciale, di un intervento del grande ipnoterapeuta Milton Erickson. La paziente, una donna sulla trentina, è stata mandata in trance, ed ha sviluppato una regressione d’età; in questo stato si comporta, sente e funziona cognitivamente come una bambina all’inizio delle scuole elementari. Il terapeuta quindi si rapporta con lei come si relazionerebbe con una bambina di quella età.
La bambina ha messo in pericolo la vita della sorellina neonata durante un involontario incidente domestico. La madre, spaventatissima dal rischio corso dalla sorellina, la ha rimproverata duramente; in questa occasione la paziente si è convinta di non piacere alla madre. Ecco come Erickson modifica tale convizione durante il colloquio.
Erickson: C’è qualcos’altro di cui dovremmo parlare?
Paziente: Sì. Pensi che la Mamma ci ami (a lei e alla sorellina, n.d.t.) ?
Erickson: Ora immagina di dirmi cosa ne pensi davvero?
Paziente: Non lo so.
Erickson: Perchè puoi parlarmi facilmente, o no?, e molto onestamente. Sai di avermi già detto la risposta alla domanda – tua madre ti ama davvero? Come si sentiva la mamma mentre metteva Helen sdraiata sulla schiena?
Paziente: Era spaventatissima.
Erickson: Ora, se tu vedessi quel brutto, vecchio cane (ne avevano parlato in una sezione precedente del colloquio) salivare, tossire e strozzarsi, cosa faresti?
Paziente: Scapperei via.
Erickson: Ti sentiresti male e spaventatissima?
Paziente: No.
Erickson: Ma la mamma si è sentita spaventatissima e male, vero?
Paziente: Sì.
Erickson: La mamma si spaventa mai per te?
Paziente: Non credo.
Erickson: Non credi. Magari ti ricorderai qualcosa.
Paziente: Ci fa mettere gli stivaletti.
Erickson: Perchè vi fa mettere gli stivaletti? In modo che voi non tossiate – che non prendiate freddo. Perchè lei non vuole che vi ammaliate?
Paziente: Non andremmo a scuola.
Erickson: Perchè andare a scuola?
Paziente: Dobbiamo conoscere qualcosa.
Erickson: A te interessa se il cane conosce qualcosa? Ti interessa che lui conosca qualche cosuccia?
Paziente: No.
Erickson: A te non interessa perchè non ti piace. Perchè tua madre vuole che voi andiate a scuola e impariate qualcosa?
Paziente: Le piacciamo.
Erickson: Sei sicura di questo?
Paziente: Sì.
Con una maestria impressionante, il terapeuta usa il cane brutto e vecchio, che disgustava la bambina, come un utile contrappeso per valutare l’affetto della madre per lei e la sorellina. E’ interessante il fatto che egli non coinvolge la bambina in una serie di ragionamenti razionali – “Penso che le mamme amino sempre i propri bambini”, ecc. – ma utilizza una parte dell’esperienza della bambina – il cane – per dimostrarle per contrasto quanto la madre tenga a lei ed alla sorellina.
All’inizio la strategia sembra non funzionare, dato che la madre durante l’incidente si era spaventata per la sorellina, non per lei. Ma Erickson non molla, le chiede se la madre si spaventa mai per lei. Ancora un ostacolo: “Non credo”; ma ancora, con la gentilezza che gli era propria, reagisce: “Magari ricorderai qualcosa”. E si apre la breccia, quegli stivaletti messi per non ammalarsi, per andare a scuola, per poter imparare qualcosa di utile; la mamma tiene a noi, se vuole che impariamo qualcosa di utile.
Un caso esemplare di dolce persuasione, di come lo psicoterapeuta utilizza l’esperienza del paziente per arricchirla di nuovi significati e percezioni, di come il colloquio, condotto magistralmente, è fonte di cambiamento.
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Dott. Giacomo Crivellaro, Psicologo Psicoterapeuta
a Firenze e Parma
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La trascrizione completa del caso si trova in:
Erickson, M. H., Rossi, E. L. (1992). L’uomo di Febbraio. Lo sviluppo della coscienza e dell’dentità nell’ipnoterapia. Roma: Astrolabio.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
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