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Problemi sul lavoro

Psicologo per trattamento problemi lavorativi e relazionali

 

 

Leadership autorevole: farsi seguire o farsi temere?

Ad ogni gruppo serve (almeno) un capo, qualcuno in grado di riassumere al proprio interno l’insieme delle caratteristiche della situazione contingente, delle personalità e risorse di chi lavora sotto di lui, e di assumersi l’onere e l’onore di dire l’ultima parola tenendo conto di tutte queste variabili. A volte, però, chi dovrebbe avere il compito di decidere tende a delegare la scelta ultima, che dovrebbe spettare a lui, all’insieme delle persone che lavorano per lui. Come nelle democrazie dell’antica Grecia, egli si trova quindi ad indire pubbliche assemblee in cui saggiare gli animi, si confronta con tutti, chiede a tutti. Tale ammirabile anelito di condivisione (si parla in questi casi di leadership democratica) spesso però non costruisce l’altra fondamentale componente, il rispetto e la distanza verso un ruolo gerarchicamente superiore.

In altri casi, invece, il leader usa il proprio ruolo per imporre sempre e ovunque le proprie decisioni, attraverso la possibilità di incutere paura, un grande motore dell’umano agire. In questo caso, però, i sottoposti agiranno secondo le direttive, ma senza impegno nè passione: il rispetto dovuto alla minaccia è presente quando è presente il capo, spesso manca in sua assenza. L’altro polo (laleadership autoritaria) spesso quindi non sortisce migliori risultati della precedente, soprattutto nelle aziende in cui i risultati si basano sullo spirito d’inventiva e sulla creatività del lavoratore, che non raggiunge la sua migliore produttività agendo come un mero esecutore.

Conflitti fra colleghi

Forse ancora più insidiosi sono i conflitti fra colleghi a pari grado. Essi si trovano a co-dipendere, lavorativamente, l’uno dall’altro; costruire una sana relazione di collaborazione è impresa titanica, messa costantemente a repentaglio dagli strascichi emotivi ed esperienziali che ognuno importa sul luogo di lavoro dalla sua vita privata. Maggiormente problematiche sono quelle situazioni in cui la competizione, da sano e costruttivo motore di crescita, diviene strisciante e insidioso inter-sabotaggio lavorativo. In questi casi è importante attuare il prima possibile adeguati atteggiamenti in grado di bloccare l’escalation, per potere quindi instaurare nuove basi.

Conflitti con i superiori

Un conflitto che si caratterizza come una loose/loose situation, quello tra il dipendente ed il capo. Spesso si tratta di una simmetria costruita su una leadership autoritaria e un dipendente che non si riconosce nelle scelte della direzione. Quest’ultimo può provare a ragionare con il leader, e quando l’altro prosegue per la strada che ha scelto, accumulare rabbia e frustrazione che immancabilmente verranno percepiti da lui e dai colleghi. Il capo tenderà a rimettere il lavoratore “al suo posto”, si alzeranno i toni dei confronti, la rabbia e la frustrazione fino al conclusivo abbandono del posto di lavoro da parte del dipendente. Si noti che in questi casi si parla di loose/loose situation in quanto illeader ha fallito nel suo obiettivo di mettere a frutto le risorse del dipendente, perdendo anzi in autorevolezza agli occhi degli altri sottoposti “abbassandosi a litigare” con quest’ultimo, e il dipendente ha perso piacere e gusto del lavoro in precedenza apprezzato, trovandosi anche nella scomoda situazione di andare alla ricerca dell’alternativa.

Dare e ricevere: l’equilibrio fra rispetto del compito e martirio

Si sente spesso parlare del problema del menefreghismo sul posto di lavoro, meno spesso di certe situazioni in cui il dipendente, nella speranza di ricevere infine un agognato riconoscimento, sia esso un avanzamento di carriera, un aumento di stipendio o un elogio più personale dei propri meriti, sacrifica tempo, spazio ed energie, ben oltre l’orario di lavoro, all’azienda. A volte tale comportamento porta al risultato sperato, spesso però, come accade con la bigiotteria, l’eccessiva disponibilità è scambiata per scarso valore. A fronte dell’ennesima svalutazione, il dipendente attraversa un momento di rabbia: “Per cosa lo faccio a fare?” si chiede. Esso però passa presto: “La prossima volta andrà meglio” si dice, ed il circolo continua, fino a quando l’autoinganno crolla definitivamente, quando spesso si verificano reazioni depressive o rabbiose esasperate, necessarie dell’intervento che, forse, in fase preventiva avrebbe evitato la sofferenza che ne è venuta.

Coaching Aziendale

Il Coaching Aziendale si struttura come un ciclo di interventi che, utilizzando i principi e le tecniche dell’Approccio Breve Strategico, permettono di ottenere rapidi cambiamenti. La processualità può però risultare differente, essendo essa ‘calzata’ non più all’intervento clinico per la risoluzione di psicopatologie invalidante, ma al complesso mondo del lavoro e dell’azienda.

 

 

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