Tra i vari ostacoli che rendono impervia e faticosa la strada per raggiungere i propri obiettivi, ve ne è uno che rappresenta una vera e propria “bestia nera” per gli addetti ai lavori: la procrastinazione.
Che cosa si intende per procrastinazione?
Si utilizza la parola procrastinazione per indicare la tendenza, reiterata e ridondante, a rimandare una attività, un impegno, una incombenza. Sebbene a tutti possa capitare di procrastinare di quando in quando, in alcuni casi costituisce una presenza costante: si rimanda una attività a un momento futuro ritenuto, a torto o a ragione, più propizio per svolgerla. Ma quando quel momento arriva, ecco emergere una nuova costellazione di motivazioni e percezioni che portano ad un nuovo posporre. Ripetuto il processo in modo ridondante, la persona comincia a sentire di non essere più in grado di svolgere le attività che si era preposto: compare un senso di disagio e di sconfitta, assieme alla strisciante sensazione di essere stati traditi da sé stessi.
E’ sempre sbagliato procrastinare?
Pare proprio di no. Da un lato, infatti, sembra fondamentale saper scegliere le priorità per importanza e urgenza. Tale semplice prospettiva, apparentemente banale, nasconde una certa complessità e una fondamentale importanza, purtroppo spesso misconosciuta in ambito aziendale: è necessario scegliere accuratamente la direzione da dare ai propri sforzi. Tutto ciò, a sua volta, ha a che fare con la percezione del tempo: sembra infatti che almeno una fetta di procrastinatori siano in realtà persone che tendono a sottostimare il tempo necessario per svolgere un determinato compito, rendendo impossibile raggiungerlo, e circolarmente realizzando la sensazione di non avere alcun controllo sulla gestione delle proprie giornate.
Dall’altro, alcune persone sono convinte di poter intenzionalmente innalzare il livello delle loro performance, attendendo che sia già “quasi” troppo tardi per fare qualcosa. Si tratta dei cosiddetti “procrastinatori attivi”, persone che sfruttano deliberatamente lo stato di attivazione che ne risulta per generare ciò che loro giudicano essere una migliore performance (Chu e Choi, 2005).
Inoltre, non troppo sorprendentemente, coloro che tendono a procrastinare vivono senza troppa ansia tutti i periodi che si situano in lontananza dalle scadenze (Tice e Baumeister, 1997): nessuna pressione se non ci sono prove in vista.
Due tipi di procrastinazione: Terapia Breve Strategica
Se lo faccio, voglio farlo bene, sennò niente.
Il primo autoinganno, ironicamente in grado di intrappolare proprio coloro che tengono maggiormente alla qualità della loro prestazione (quando faccio qualcosa cerco di farla al meglio, altrimenti è meglio non farla) è l’idea che prima di cominciare l’attività in questione debbano sussistere una serie di condizioni esterne e interne in grado di garantire la massima resa. Ad esempio, una persona decide di iniziare a correre tre volte la settimana. Tempo totale dell’esercitazione, tra riscaldamento, stretching e corsa: un’ora. Si accorge però che, a parte la prima volta (pagata peraltro a caro prezzo, tra acido lattico, stanchezza successiva e conseguente spossatezza), le successive risultano sempre più difficili, fin a quando finisce per rimandare ogni volta. D’altronde, si dice, questo pomeriggio ho poco tempo, farei a malapena in tempo a farmi la doccia, dopo e non riuscirei a fare nient’altro. Cos’è accaduto? Dopo un periodo di assenza di esercizio, il tempo di un’ora pare davvero troppo prolungato, e si crea velocemente un’associazione negativa, tanto forte da riuscire a inibire ogni appuntamento successivo. Tale circolo vizioso può avviarsi anche con lo studio o, soprattutto per i liberi professionisti, per il lavoro.
Devo anche riempire la lavatrice: rimandare per fare altro
Ho finito di spedire quelle e-mail? La mia postazione è in ordine? E (in tempo di smartworking): ho fatto partire la lavatrice? L’idea, entro certi limiti valida, è che per iniziare dobbiamo “sgombrare la mente” dalle altre incombenze che la affollano. Giusto, a meno che non si trasformi nell’autoinganno: devo affrontare un compito che per qualche motivo mi risulta ostico, complesso, difficile o impegnativo. Comincio a rimandare per fare altro (le cose che mi convinco di dover concludere prima di iniziare) e questo diventa un ottimo e inconsapevole escamotage per evitare il disagio evocato dalla prima attività.
Ed ecco che non solo ci si trova a rimandare l’inizio di un’attività, ma il subitaneo emergere del ricordo del fatto che … E’ vero, devo caricare la lavatrice! Aspetta, fammi finire di sistemare la cucina! Faccio questa telefonata e poi…c’è sempre qualcosa che in quel momento pare importante da fare. Finché il tempo non si esaurisce e ci si accorge, costernati ed anche un po’ preoccupati, di non avere mosso un singolo passo nella direzione che pure a inizio giornata pareva limpida e cristallina. Erede non desiderata, la sensazione strisciante della propria inadeguatezza e insipienza (Milanese, 2020), da portare con sé il giorno dopo, quando la montagna da scalare apparirà ancora più alta.
La Terapia Breve Strategica
La Terapia Breve Strategica è l’approccio creato dal Prof. Giorgio Nardone, sulla scia della famosa Scuola di Palo Alto, con l’apertura del Centro di Terapia Strategica di Arezzo e una tradizione ormai trentennale di ricerca/intervento, che ha portato ad un numeroso insieme di pubblicazioni e di studi sul trattamento delle più importanti patologie della mente. In quest’ottica, il trattamento della procrastinazione si basa sulla massima secondo la quale l’obiettivo è rendere il cambiamento non solo possibile, ma inevitabile. Per raggiungere questo obiettivo, la procrastinazione, da strategia di coping nel breve tempo utile ad evitare l’ansia, viene resa avversiva più dell’attività che ci si era prefissati, portando ad un rapido abbandono di tale reazione, a lungo andare decisamente poco producente. Tale risultato, raggiunto con l’utilizzo delle logiche non ordinarie, prescrizioni paradossali e ristrutturazioni in sede di colloquio, può verificarsi in modo decisamente veloce: in molti casi già nell’intervallo tra la prima e la seconda seduta. Si tratta però di null’altro che dell’applicazione dei principi di un intervento che ha mostrato ampiamente la propria efficacia.
Riferimenti bibliografici
Milanese, R. (2020). L’ingannevole paura di non essere all’altezza. Firenze: Ponte alle Grazie.
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