La morte ci pone di fronte l’eventualità della fine, della non-esistenza, dell’abbandono e del distacco. Ma anche del lutto, del dolore, della mancanza o della disperazione. Non c’è da stupirsi quindi che sia un campo rifiutato, spaventoso e da tenere lontano. E forse è proprio per questo che la psicologia si sta sempre più interrogando su quale possa essere il suo contributo ad una maggiore comprensione dei processi che la rendono elaborabile ed infine comprensibile, quando non accettabile. Oggi vi racconto tre libri che mi hanno insegnato tanto, mostrato qualche mondo, e fatto versare qualche lacrima.
La morte e il morire (Elizabeth Kubler Ross)
La Kubler Ross ci ha lasciato nel 2004. Psichiatra svizzera, la prima a studiare le fasi in cui i malati ed i loro familiari si avvicinano alla morte, la nera signora che con le sue disperazioni, con i suoi dolori, ma anche con le sue dignità fa parte in modo paradossale della vita, come ci mostra l’eterno simbolo del Tao, con la sua compenetrazione degli opposti. Il libro è per l’appunto il racconto del suo primo lavoro, in cui da outsider malsopportata e indesiderata entra in un reparto per malati terminali e comincia a chiedere, a farsi raccontare le storie di vita e di malattia, a confrontarsi con i malati ed i loro familiari, ad osservare le resistenze e le sofferenze di tutti, compreso il personale sanitario.
Il suo famoso modello delle fasi di elaborazione del lutto (negazione/rifiuto, rabbia, contrattazione/patteggiamento, depressione, accettazione) nasce appunto da questa ricerca sul campo, in cui si è posta in relazione con questi molteplici mondi come osservatrice partecipante in una sorta di ricerca azione, consapevole del fatto che anche solo relazionandosi alle persone si contribuisce a modificare la loro realtà.
Padiglione Cancro (Aleksandr Isaevič Solženicyn)
è un libro molto particolare. Ha sancito il momento in cui Solzenicyn ha difeso il suo status di intellettuale, di ingombrante e fastidioso pungolo del regime sovietico, rifiutandosi di adagiarsi sul politically correct al punto da pagarne ampiamente le conseguenze. E’ un romanzo ambientato in un padiglione di un ospedale sovietico specializzato nel trattamento del cancro, subito dopo la morte di Stalin nel 1953. Ne nasce un intreccio di storie di vita e di prospettive, accomunate però dalla malattia; lo scrittore si immerge in ciascuna di esse, riuscendo a darne un senso umano e familiare, anche quando paiono le più lontane da noi. Parla di cancro, ma non solo: è anche un libro politico (come dimostra la storia personale dell’autore), ed è un libro che, con la sua conclusione, ci mostra un aspetto drammatico della psiche umana: il fatto cioè che i ruoli che ci ritagliamo, o ci vengono ritagliati addosso ci trasferiscono la loro forma, modificandoci, trasformandoci o in alcuni casi condannandoci a subirli. Una lettura meravigliosa da uno dei miei scrittori preferiti, un gigante, e per certi aspetti un esempio.
La terapia psicologica in oncologia (Eleonora Campolmi e Lindita Prendi)
Ormai cancro non è più sinonimo obbligato di rischio di vita; le cure sono molto migliorate dai tempi di Solzenicyn e di Elizabeth Kubler-Ross. Ma le cure, le incertezze, le angosce, e anche solo il fatto che la diagnosi funge in sè stessa da specchio delle nostre fragilità, lo rendono un campo di ricerca fondamentale in psicologia e non solo. Frutto del tentativo riuscito di applicare il modello di intervento psicoterapeutico breve strategico al supporto dei pazienti oncologici, il libro include una introduzione all’approccio, e (la parte che mi è piaciuta di più) una serie di racconti di casi. C’è anche un capitolo in cui è esemplificato il trattamento del lutto, a cura di Francesca Luzzi. Utile guida per il terapeuta abituato a pensare a come risolvere i problemi delle persone in tempi brevi, che si trova ad affiancare chi fronteggia un problema/non problema, o meglio un problema non risolvibile, perchè parte della vita stessa.
Quando ci si trova di fronte alla morte, è forse più saggio tacere ed ascoltare che riempire di parole il vuoto della non esistenza, presente o futura. Ma quante parole servono per farci capire questo! Un’altra delle contraddizioni di cui siamo fatti…
E d’altronde, la dimensione del sacro pare sia proprio il superamento delle divisioni, delle distinzioni che grazie al linguaggio ci permettono di vivere. Forse per questo sacro e morte spesso passeggiano a braccetto…
Riferimenti Bibliografici
Campolmi, E., Prendi, L. (2019). La terapia psicologica in oncologia. Firenze: Giunti.
Galimberti, U. (2012). Cristianesimo: la religione dal cielo vuoto. Milano: Feltrinelli.
Kubler-Ross, E. (2005). La morte e il morire. Assisi: Cittadella Editrice.
Solzenicyn, A. (2000). Padiglione Cancro. Roma: Newton Compton.
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