Vedete, la nostra lingua è costruita sulle separazioni.
Se vogliamo parlare dell’albero, lo separiamo dalla terra e dagli altri alberi. Se possiamo parlare del nostro giardino, è dividendolo dal giardino del vicino.
Se decidiamo di parlare della nostra città, è superando il confine della provincia. E in casa, il nostro ripiano della libreria o della scarpiera, il cassetto delle mutande e calze, è il nostro perchè ognuno ha il suo, separato dagli altri, diviso da qualche confine.
Se parlarliamo di noi, è separandoci dagli altri.
Ma non solo, pensateci. Se mi riferisco al mio stomaco, lo separo, percettivamente, dall’intestino. La mia testa è distinta dal collo, l’indice dal medio, il piede dalla caviglia, in quanti pezzetti riusciamo a dividerci non solo parlando, ma anche solo pensando?
E ogni parola che usiamo implica una separazione, non è un caso se gli approcci meditativi che puntano all’unità sospendono la parola, cercano di mettere tra parentesi il pensiero, puntano a quel Vuoto di cui parla lo Zen…
Ripetendo ancora una volta la famosa citazione di Bateson (ma è talmente bella!):
“Quale struttura connette il granchio con l’aragosta, l’orchidea con la primula e tutti e quattro con me? E me con voi? E tutti e sei con l’ameba da una parte e con lo schizofrenico dall’altra?”
E ci troviamo quindi ad oscillare, tra ciò che la cultura occidentale ci ha regalato in eredità, il potente strumento dell’analisi, e la percezione complessiva, di orientale memoria.
Ma torniamo ancora alla flessibilità, come giunchi ci pieghiamo, ci adattiamo alle necessità del momento…. Possiamo usare entrambe! Percezione globale, analisi, sintesi. E allora, possiamo tornare al centro. Alla nostra forma originaria.
Articoli Recenti
Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)