Sono in viaggio sul mio intercity, apro il giornale di oggi; c’è un articolo che parla di un fatto di cronaca. Una donna è stata uccisa dall’amante del marito, e fin qui sembra solo la normale porzione di orrore quotidiano. Normalmente scarto questo genere di articoli, mi rifiuto di partecipare al coro di quelle voci indignate che durano un istante, fin quando un’altra notizia prende il posto di quella che se n’è appena andata.
Ma nell’articolo si parla di come, quando una persona muore, Facebook congeli il suo account; le persone possono lasciare i loro messaggi di saluto a chi è mancato, mentre i suoi post giacciono ancora lì, testimonianza digitale dello stato, del “A cosa stai pensando?”, di quel momento. C’è qualcosa di terrificante nel poter andare a rileggere quello che ha scritto quella persona, momento per momento, giorno per giorno, congelato in qualche server dislocato chissà dove; messaggi spediti in mare dentro bottiglie che tutti possono vedere, presenti incatenati a sè stessi.
Durante una visita ad una lontana parente, mentre mio padre ricorda con lei situazioni e periodi che non conoscerò mai, conoscenti, nomi di comparse di un passato che a stento riconosco come mio, tira fuori da un cassetto una lettera di un suo fratello, l’ultima lettera che dal fronte russo riuscì a spedire a casa prima di scomparire in qualche ignota battaglia. La sua voce lontana stava proseguendo con il suo interlocutore, un altro membro della famiglia, una discussione che ormai si era persa nel tempo; nessuno sa più di cosa fossero in disaccordo, che cosa avessero da dirsi, che cosa spingesse quella vittima del Novecento a continuare, dalla steppa gelata, quel discorso. Tuttavia, di lui rimane solo quell’antiquato frammento.
Come sono strani gli oggetti che ci legano alle persone! Ma di solito sono cose sulle quali possiamo fantasticare, cose opache, cose che ci dicono qualcosa ma non proprio tutto….che ci lasciano immaginare il defunto come avremmo voluto che fosse.
Invece le foto e gli stati di Facebook sono così reali! Insomma: ci sono anche le foto, i commenti degli amici, il tutto come se fosse l’altroieri…e magari sono passati anni.
Pubblicando i post del mio blog su internet e condividendoli in alcuni gruppi online a tema psicologia e affini, mi capita di tanto in tanto di ricevere delle richieste di amicizia da parte di persone che non conosco direttamente, ma che leggono qualcosa di mio e che decidono di stabilire un contatto con me. Spesso concedo l’amicizia, pur cercando di difendere la mia privacy.
Un po’ di tempo fa una di queste persone, uno studente di psicologia, attirò la mia attenzione per la frequenza con cui condivideva su Facebook citazioni e commenti dei suoi autori preferiti. Scriveva spesso, e le sue frasi mi apparivano di conseguenza altrettanto spesso; in un certo senso, mi ero abituato a trovare, aprendo il mio account, le sue riflessioni in prima battuta, e le leggevo con interesse. A un certo punto, però, scomparvero; pensavo per un aggiornamento dell’algoritmo (altra magia contemporanea che condiziona le nostre vite), e decisi di informarmi sulle sue ultime novità direttamente dalla bacheca del suo account. Seppi allora, con costernazione, che si era tolto la vita un paio di settimane prima, e il suo account non era ormai nient’altro che il luogo in cui i molti “Riposa in pace” facevano triste mostra di sé.
Un paio di anni dopo stavo parlando con un giovane brillante studente di Milano, il quale sperava di riuscire, come argomento di tesi per il master informatico che stava frequentando, a sviluppare un algoritmo in grado di predire il rischio suicidario in base al tipo di post condivisi su Facebook. Non potei fare a meno di ricordare quell’altro ragazzo, quello che studiava psicologia. Non ci eravamo mai parlati, non lo avevo mai incontrato, ma non c’era forse stato qualcosa di strano nel modo in cui scriveva? Oppure ero io, retrospettivamente, a ricordarmelo così, avendo ora saputo della triste interruzione del suo cammino?
Non chiedetemi di cosa parla questo post, perchè forse non lo so neanche io. Forse della tristezza di sapere che le persone sono sempre così lontane fra di loro, e poco importa se le separa la steppa russa o la pianura padana, credo che tante mani tese ad incontrare gli altri, che utilizzino facebook o una lettera, spesso non riescano a stringere che il vuoto.
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