Studiare…imparare…motivare a studiare come imparare… o imparare come studiare qualcosa da imparare; facce di una medaglia dai molteplici volti, con un importante tratto in comune: il fatto cioè che vivere è imparare, e richiede di imparare a vivere. In altre parole, per imparare a vivere bisogna studiare come imparare ad apprendere. Troppo? Forse no.
Infatti le persone, in quanto sistemi viventi in interazione con il mondo’esterno, in virtù di ciò che percepiscono, si modificano (cioè apprendono). Il vantaggio, quindi, è che spesso si apprende senza studiare, almeno tanto quanto si studia senza apprendere.
Fortunatamente (oppure no), la nostra specie ha sviluppato una serie di supporti finalizzati a incamerare informazioni senza passare dal’esperienza diretta, da quando un barbuto (e creativo) signore decise di disegnare un orso sulla parete di una caverna, per permettere ai figli di intuirne la pericolosità, al posto di farglielo incontrare di persona.
Tornando al discorso di prima, studiare può quindi essere un buon modo per apprendere, senza dover imparare ciò che c’è da apprendere … prendendole (dalla vita).
Come si può farlo al meglio?
Da alcuni autori (Rampin, Monduzzi, 2012; Bartoletti, 2013) vengono alcuni consigli, che riportiamo in breve, a beneficio di adolescenti (e non) alle prese con l’arduo compito di apprendere come meglio studiare per poter meglio apprendere.
1) Evitare noia e ripetizione.
I nostri organi percettivi sono programmati in modo che uno stimolo che si ripete uguale a sè stesso, dopo un po’ di tempo entra a far parte del rumore di fondo e smette di attirare l’attenzione (quante volte ci si accorge del rumore del frigorifero solo quando cessa?). Per questo consigliamo di aggiungere costantemente alcune variazioni sensoriali, corporee e ambientali al proprio studio; cambiare posizione, cambiare stanza, cambiare biblioteca sono alcuni esempi.
2) Fare associazioni.
Il cervello è organizzato in reti neurali; gruppi di neuroni collegati fra loro e svolgenti le stesse funzioni. Un contenuto (una informazione, un testo, un concetto, una regola matematica, ecc.) hanno maggiore probabilità di essere ricordati se sono messi in relazioni con altri contenuti, informazioni, testi, concetti. Se poi questi ultimi sono rilevanti personalmente (elicitano cioè emozioni, sensazioni, ricordi), la memoria ne beneficerà ulteriormente.
3) Rielaborare in prima persona.
Come molti filosofi della scienza vi potranno testimoniare, un messaggio esiste soltanto nel momento in cui un osservatore lo percepisce. Significa che conoscere e ricordare dipende da come chi studia elabora al suo interno ciò che studia. Va bene, e quindi? Quindi ci sono alcune attività che permettono e facilitano la rielaborazione, come ripetere oralmente, scrivere appunti e riflessioni su un argomento (come il sottoscritto può testimoniare in questo scritto), sintetizzare con disegni i concetti eccetera. Sono tutte attività che permettono di trasformare un concetto da qualcosa di esterno (nel libro) a qualcosa di interno.
4) Tempo, ovvero evitare la tortura di torturarsi.
L’ultima linea guida (fra le principali) è evitare di trasformare lo studio (o l’apprendimento) in tortura; racchiude i punti precedenti e li integra con il fattore tempo. Prendiamo ad esempio uno studente coscienzioso e motivato: decide il suo obiettivo, cioè prepararsi adeguatamente in una materia o argomento. Per studiare al meglio si tiene il pomeriggio libero; avrà molto più tempo del necessario, potrà così, dopo aver studiato, ripassare come conviene. Nel primo pomeriggio ha organizzato il resto della giornata; d’altronde, si dice, dopo cena vorrebbe studiare ancora un po’. Appena seduto, però la prospettiva delle nove ore di studio che si profilano dinanzi a lui appare sempre più opprimente; cerca di non pensarci, comincia a leggere, anche se dopo poco mille distrazioni si affacciano alla mente. Non importa, tanto ho tempo, pensa. Ci si rimette, di buona lena, ma progressivamente (e non senza spavento) si accorge che le ore di studio che come i soldati di un plotone di esecuzione si presentano, in fila, davanti a lui, impediscono proprio lo studio a cui erano deputate. Andrà a letto stanco, frustrato e impaurito dal giorno che lo attende; in cui si ritaglierà ancor più tempo, in modo (lui crede) di essere ancora più libero di studiare.
Come uscirne? Stabilire a priori un tempo – ragionevole – in cui studiare, fuori dal quale fare qualsiasi altra cosa tranne cercare di stiparsi contenuti in testa forzatamente. All’interno del tempo stabilito, prepararsi a concedersi pause di 10/15 minuti ogni massimo 45 minuti di studio. Anche la nostra capacità di concentrarsi possiede dei limiti; sforzarsi di superarli con la forza di volontà dà infatti luogo a pericolosi effetti paradossali, opposti a quelli sperati.
Bartoletti, A. (2013). Lo studente strategico. Come risolvere
rapidamente i problemi di studio. Milano: Salani.
Rampin, M., Monduzzi, F. (2012). Come non farsi bocciare a
scuola. Trucchi e astuzie per studenti, genitori e insegnanti.
Milano: Salani.
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