Così diversi, così uguali. Ci scontriamo per strada, ci incontriamo al bar, al cinema o nella sala d’aspetto del medico, strane forme di meteore cogitanti, ci sforziamo di conoscere gli altri tramite noi stessi – nostro unico strumento di misura.
Oppure siamo noi stessi, che cerchiamo di conoscere? O entrambi? E possiamo farlo, davvero? Oppure siamo come sordi in un mondo di ciechi, in grado di percepire solo ciò che sfugge agli altri?
E poi ci stupiamo di non vedere chiaramente! Ci meravigliamo di non soppesare – o di soppesare male! Rimaniamo stupefatti – dopo, quando la frittata è fatta – dell’enormità dei nostri errori!
Spesso, troppo spesso, vediamo solo i nostri desideri. Pitturiamo la realtà dei colori delle nostre ambizioni, e ci aspettiamo che il mondo vi si adatti…e con gli altri, le donne per gli uomini, gli uomini per le donne, allora siamo maestri nel non vedere, nello schivare ciò che preferiremmo l’altro non fosse.
Vogliamo qualcosa – fortissimamente volli – e ci incaponiamo, ci intestardiamo, siccome pensiamo di sapere ciò che è giusto per noi, che quella stessa, medesima cosa, debba esser voluta anche dagli altri. E come ci arrabbiamo, quando la nostra onnipotenza deve piegarsi al vento dell’inaspettato! Quando dall’altra parte il dipinto dei nostri sogni si infrange sull’implacabilità della realtà dell’altro! Quanto ci ribelliamo, pestiamo i piedi in terra, imprechiamo e piangiamo forte, il non ottenuto non sarà mai nostro…
E allora la scelta: prendere dall’altro il bello che può darci, oppure rimbalzarlo, lontano dalla nostra orbita. Adattarsi, o continuare il nostro viaggio solitario nel cosmo.
Fino al prossimo impatto.
Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri.
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