Racconta Michael Yapko, famoso psicoterapeuta ipnotista, che un giorno, giovane studente, si recò ad una dimostrazione pubblica di ipnosi. Quando, dopo alcune spiegazioni di rito, l’ipnotista chiese un volontario dal pubblico, si presentò una signora di mezza età. Soffriva ormai da anni di un dolore ricorrente per il quale i medici non erano stati in grado di trovare una spiegazione, né tantomeno una cura. Dopo la procedura induttiva, l’ipnotista chiese alla paziente di immaginare una sostanza densa e scusa, simile al catrame, che lentamente scorreva da ogni parte del corpo verso i suoi piedi, per poi progressivamente lasciare il suo corpo, scomparendo infine in un tombino del pavimento. Una volta uscita dalla trance, la paziente riferì in lacrime che quella era la prima volta che non sentiva il suo usuale dolore, ma solo un gigantesco senso di stupore e sollievo.
Secondo uno studio, fino al 78% delle persone sofferenti di dolore cronico abbinano all’esperienza del dolore immagini o fantasie. Si tratta di immagini spontanee, che affiorano concomitantemente al dolore, divenendo nel tempo una componente fondamentale della loro sofferenza (Phillips, 2011; Gosden et al., 2014).
Sebbene a volte non emergano esplicitamente durante i primi colloqui di presa in carico, possono costituire un potente meccanismo a feedback che amplifica l’esperienza dolorosa, aumentando le emozioni negative (tristezza, rabbia, solitudine) e “spegnendo” quelle positive (Phillips e Samson, 2012).
Secondo Winterowd (2003) le principali tipologie di imagery spontanea nel dolore cronico sono:
– immagini relative alla sensazione dolorosa in sé (ad es. l’immagine della propria spinadorsale come un tronco d’albero rigido);
– immagini del sé sofferente (una persona vecchia e fragile);
– immagini degli altri che interagiscono con il sé sofferente (vedersi soli e isolati dagli altri);
– immagini di un futuro con il dolore (ad esempio, un futuro in sedia a rotelle).
Tali immagini entrano a far parte integrante dell’esperienza della sofferenza (cioè dell’insieme delle sensazioni di dolore, degli affetti e delle cognizioni che la accompagnano); influenzano la relazione con gli altri e la percezione di sé, andando a costituire una delle fondamenta del concomitante calo di umore (Phillips, 2011).
Nei casi in cui sia presente tale imagery spontanea, però, è possibile modificarla per così dire in vivo, dato che costituisce una immagine nella quale il paziente è già immerso, e spesso il semplice evocarla a occhi chiusi basta a introdurre un leggero stato di trance. Questo permette di utilizzare la “manipolazione” dell’imagery spontanea per modificare in tempo reale l’esperienza del dolore – spesso permettendo una sua diminuzione in tempo reale.
Nello studio di Phillips e Samoson (2012) veniva chiesto ai pazienti, dopo aver fornito una descrizione dettagliata della loro immagine, di richiamarla mentalmente alla coscienza e di mantenerla presente mentre venivano loro fatte alcune domande. A quel punto veniva loro chiesto come avrebbero preferito che fosse, procedendo poi a modificarla in tal senso.
Si tratta di un intervento intenzionalmente semplificato e strutturato per essere replicabile: la pratica clinica permette una maggiore elasticità. Così, la trasformazione mentale dell’imagery può diventare una sorta di dialogo, mentre il paziente si trova in un leggero stato di trance, in cui paziente e terapeuta co-costruiscono un realtà immaginativa diversa, procedendo poi a verificare in che modo le sensazioni corporee si modificano di conseguenza. Adattando costantemente le proprie proposte alle risposte del paziente, offrendo alternative, osservando le risposte verbali e non verbali, coinvolgendo il paziente nella scelta della migliore strada da intraprendere, il terapeuta instaura un processo collaborativo di alterazione immaginativa congiunta. Non si tratta ovviamente di una tecnica strutturata e fissa, ma di un processo da instaurare di volta in volta nella relazione con il paziente, il cui contenuto può cambiare da paziente in paziente e di seduta in seduta.
Riferimenti bibliografici
Gosden, T., Morris, P. G., Ferreira, N. B., Grady, C., & Gillanders, D. T. (2014). Mental imagery in chronic pain: Prevalence and characteristics. European journal of pain, 18(5), 721-728.
Philips, H. C. (2011). Imagery and pain: the prevalence, characteristics, and potency of imagery associated with pain. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 39(5), 523-540.
Philips, C., & Samson, D. (2012). The rescripting of pain images. Behavioural and Cognitive Psychotherapy, 40(5), 558-576.
Winterowd, C., Beck, A. T., & Gruener, D. (2003). Cognitive therapy with chronic pain patients. Springer publishing company.
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