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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

La vulgata è che la marijuana sia una droga minore, rispetto alle più agguerrite compagne, cocaina ed in special modo eroina. Secondo questa idea che si diffonde tra la popolazione e (purtroppo) tra gli adolescenti, la cannabis sarebbe una sostanza sostanzialmente innocua (dopotutto è una pianta) che, insomma, fa rilassare e stare bene insieme. Lo stato oppressivo più o meno inspiegabilmente la perseguita, nonostante sia provato il fatto che, anzi, fa bene quando una persona soffre di alcune patologie dolorose [1]. Quindi, nessun rischio, nessun pericolo.

L’idea che la marijuana sia una droga “naturale” nasce dalla semplice constatazione del fatto che si tratta di una pianta (dunque “naturale” per definizione), senza considerare alcuni punti cruciali. Come il fatto che, grazie alle tecniche di selezione riproduttiva, il contenuto di THC (delta-9-tetraidrocannabinolo – uno dei principi attivi della cannabis) è aumentato progressivamente negli ultimi decenni, quadruplicando dall’inizio degli anni ’80 al 2012 (vedi sotto). Questo ne altera radicalmente l’impatto a breve e a lungo termine, creando le condizioni, come vedremo, per una serie di veri e propri danni, qualora entrasse a contatto con un cervello in via di sviluppo (leggi alla voce: adolescenza). Tale aumento è frutto di un affinamento dei processi di riproduzione della pianta e di produzione della sostanza; la marijuana, dunque, lungi dall’essere “naturale” è frutto di un progressivo e costante processo di selezione artificiale al fine di creare una pianta che precedentemente non esisteva in natura, finalizzato esclusivamente alla produzione dei suoi derivati finalizzati all’utilizzo, caratterizzati dal più alto contenuto possibile di THC.

[Sotto, grafico A: l’aumento di contenuto di THC dai primi anni ’90 al 2012. Grafico B: numero di accessi al pronto soccorso legati all’assunzione di droghe. Fonte: Volkow e colleghi, 2014]

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Altra idea in cui mi è capitato di imbattermi è quella relativa al fatto che essa sia sostanzialmente simile, in termini di effetti nocivi sulla salute, ad una sigaretta. Se da un lato, il rischio di contrarre il cancro risulta sostanzialmente sovrapponibile a quello delle sigarette (Volkow e altri, 2014), lo studio di Murtha e colleghi (2022) mostra che le canne, rispetto alle sigarette, provocano una più alta percentuale di ispessimento bronchiale (bronchiestasie) e di ginecomastie. E’ anche associato ad una maggiore incidenza di infezioni alle vie respiratorie, bronchiti e polmoniti.

Ma è negli effetti cerebrali, psicologici ed esistenziali che si dispiega maggiormente il potere distruttivo di un utilizzo frequente e precoce.

E’ infatti ormai stabilita una connessione causale tra l’utilizzo di marijuana e lo sviluppo di paranoia e psicosi e nell’evolversi del quadro sintomatologico in quello, ben più grave, della schizofrenia (Feeney e Kampman, 2016). Rispetto a questo aspetto, gli studiosi hanno ormai definitivamente archiviato la cosiddetta “ipotesi della causalità inversa”, l’idea cioè che le persone con schizofrenia abbiano iniziato a fumare marijuana con l’obiettivo di automedicarsi. Rimane aperta una sua versione più sfumata: l’idea che le persone con forme moderate di ansia sociale possano utilizzare marijuana come un modo per “sbloccarsi” socialmente: inconsapevolmente e drammaticamente, però, così facendo si sottopongono al rischio concreto di provocarsi un peggioramento progressivo del loro stato psicologico, aprendo, grazie anche alla marijuana, le porte alla paranoia e alla psicosi (Enright, 2015).

Tale relazione è rilevata anche a riguardo dei sintomi ansiosi. Conseguentemente all’utilizzo di cannabis (fase acuta), si possono ottenere, da parte di persone che non ne sono abituate, reazioni di forte ansia (simil-attacco di panico) che spesso hanno l’effetto di allontanarle dalla sostanza. Al contrario, l’utilizzo quotidiano di cannabis è associato al tentativo di abbassare lo stato di arousal psico-fisiologico: ci sono però forti evidenze che, sebbene dia l’illusione di benessere durante l’uso, provoca, una volta svanito l’effetto chimico, un aumento dei sintomi ansiosi, che crescono in maniera concomitante alla frequenza di utilizzo. Se da un lato, problemi di natura ansiosa sono spesso presenti prima dell’utilizzo di cannabis, la sostanza ne rende la risoluzione, anche da un punto di vista psicoterapeutico, a dir poco complessa. Appare quindi fondamentale, da un punto di vista clinico, per prima cosa ottenere l’abbandono della sostanza (Crippa e altri, 2009).

Il rischio concreto, in altre parole, l’instaurarsi di un circolo vizioso: se solo il 9% di coloro che sperimentano la marijuana svilupperanno una conclamata dipendenza, la percentuale sale al 17% fra coloro che “cominciano” in adolescenza, e tra il 25 e il 50 % di coloro che la fumano quotidianamente (Volkow e altri, 2014).

Da un punto di vista cognitivo l’uso quotidiano e protratto di marijuana, soprattutto se cominciato in giovane età (all’inizio dell’adolescenza) è associato a decadimento cognitivo, con una flessione ben visibile nel quoziente intellettivo, nelle funzioni esecutive (le funzioni cognitive superiori, in grado di controllare e coordinare le altre funzioni cerebrali) e nella velocità di elaborazione. Negli studi longitudinali, i ragazzi che riportano un uso quotidiano e ripetuto di marijuana a partire dall’adolescenza mostrano i suoi effetti negativi sulla realizzazione professionale, sui risultati scolastici e accademici, capacità di intrattenere relazioni sociali e sulle capacità di guida. C’è infatti un impatto sulle capacità di coordinamento motorio, la performance motoria, e il tempo di reazione, tutte facoltà centrali nella guida. Da notare, naturalmente, che si sta parlando di effetti a lungo termine: in altre parole, tali deficit non si verificano solo quando la sostanza è in circolo, ma anche in seguito. (Volkow e altri, 2014). In particolare è stata rilevata una connettività neurale inferiore della media nel precuneo (un’area cerebrale implicata nella regolazione degli stati di coscienza e nella allerta cosciente), nella fimbria (una parte dell’ippocampo implicata nella memoria e nell’apprendimento) e in network prefrontali (implicati nelle funzioni esecutive citate più in alto) e subcorticali (implicati nello stabilirsi di abitudini e routine) (Feeney e Kampman, 2016).

Per quanto riguarda l’età di inizio di utilizzo, le cose peggiorano tanto più quanto più è bassa. Un utilizzo regolare precedente ai 15 anni aumenta la probabilità di un abbandono scolastico prematuro, della migrazione ad altre (e più forti) sostanze, un impatto più significativo dal punto di vista cognitivo. Un utilizzo massiccio e regolare provoca anche l’alterazione dei naturali meccanismi di processamento dei premi e di capacità di modificare il proprio comportamento in base ai feedback dell’ambiente (Lawn e altri, 2016). In passato si è fatto riferimento alla cosiddetta “sindrome amotivazionale” e sebbene le ricerche più recenti tendano ad escluderne la pervasività, è indubbio che in fase acuta l’utilizzo di cannabis influenzi pesantemente la capacità di trovare in sé o nei risultati desiderati la motivazione all’azione. E’ un fatto che la cannabis agisce sui circuiti cerebrali dopaminergici (al pari di molte altre sostanze come la cocaina e l’eroina) provocando l’alterazione dell’apprendimento tramite ricompensa, fondamentale per ogni acquisizione. La dopamina è rilasciata a seguito dell’assunzione della sostanza; la ricompensa diviene la droga (Hall, 2009).


Effetti avversi dell’uso a breve termine e dell’uso a lungo termine o pesante di marijuana (Volkow et al., 2014).

Effetti dell’uso a breve termine

Compromissione della memoria a breve termine, che rende difficile l’apprendimento e la conservazione delle informazioni
Coordinazione motoria alterata, che interferisce con le capacità di guida e aumenta il rischio di lesioni
Giudizio alterato, aumentando il rischio di comportamenti sessuali che facilitano la trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili
Ad alte dosi, paranoia e psicosi

 

Effetti di un uso prolungato o intenso

Dipendenza (in circa il 9% degli utenti complessivi, il 17% di coloro che iniziano a farne uso nell’adolescenza e dal 25 al 50% di coloro che ne fanno uso quotidiano)
Sviluppo cerebrale alterato
Scarsi risultati scolastici, con maggiore probabilità di abbandono scolastico
Compromissione cognitiva, con QI inferiore tra coloro che ne facevano uso frequente durante l’adolescenza
Diminuzione della soddisfazione e dei risultati di vita (determinati sulla base di misure soggettive e oggettive rispetto a tali valutazioni nella popolazione generale)
Sintomi di bronchite cronica
Aumento del rischio di disturbi psicotici cronici (compresa la schizofrenia) in persone con predisposizione a tali disturbi


 

Ad ognuno, nella sua valutazione personale, rivedere la posizione da cui siamo partiti, secondo la quale da questa sostanza non derivano danni, dipendenza, effetti a lungo termine o problemi di salute. Una posizione, a conti fatti, insostenibile. Dobbiamo anche essere consapevoli che, purtroppo, molti di coloro che sono già intrappolati nella dipendenza non potranno sentire ragioni, per quanto convincenti possano essere le argomentazioni sin qui adottate. E anche questa è una caratteristica che la marijuana ha in comune con altre droghe.

 

[1] Personalmente penso che in alcuni casi possa essere un coadiuvante in alcune situazioni cliniche. Ciò non toglie che alla luce di quanto detto, anche questi utilizzi devono essere attentamente normati, oltre che studiati con cura.

 

Riferimenti Bibliografici

Crippa, J. A., Zuardi, A. W., Martín‐Santos, R., Bhattacharyya, S., Atakan, Z., McGuire, P., & Fusar‐Poli, P. (2009). Cannabis and anxiety: a critical review of the evidence. Human Psychopharmacology: Clinical and Experimental24(7), 515-523.

Enright, K. (20015). Marijuana and Madness: The Etiology, Evolution, and Clinical Expression of Psychoses.

Feeney, K. E., & Kampman, K. M. (2016). Adverse effects of marijuana use. The Linacre Quarterly83(2), 174-178. adverse effects marijuana

Hall, W. D. (2006). Cannabis use and the mental health of young people. Australian & New Zealand Journal of Psychiatry40(2), 105-113.

Hall, W. (2009). The adverse health effects of cannabis use: what are they, and what are their implications for policy?. International Journal of drug policy20(6), 458-466.

Lawn, W., Freeman, T. P., Pope, R. A., Joye, A., Harvey, L., Hindocha, C., … & Curran, H. V. (2016). Acute and chronic effects of cannabinoids on effort-related decision-making and reward learning: an evaluation of the cannabis ‘amotivational’hypotheses. Psychopharmacology233(19), 3537-3552.

Murtha, L., Sathiadoss, P., Salameh, J. P., Mcinnes, M. D., & Revah, G. (2022). Chest CT Findings in Marijuana Smokers. Radiology, 212611.

Tashkin, D. P., Baldwin, G. C., Sarafian, T., Dubinett, S., & Roth, M. D. (2002). Respiratory and immunologic consequences of marijuana smoking. The Journal of Clinical Pharmacology42(S1), 71S-81S. respiratory and immunologic consequences

Volkow, N. D., Baler, R. D., Compton, W. M., & Weiss, S. R. (2014). Adverse health effects of marijuana use. New England Journal of Medicine370(23), 2219-2227.



Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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