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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

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Come ho descritto in un altro articolo (leggilo qui), il bullismo è un problema sentito in molte società occidentali, e sempre più sono i ricercatori, gli operatori e gli insegnanti che si interrogano su come prevenire o ridurre il problema della violenza a scuola.

Ho selezionato alcune idee che potrebbero essere utili a chi, come me, si è trovato nella necessità di progettare un modello di intervento; sono basate su alcuni semplici principi, costruiti sui risultati delle ricerche sul bullismo condotte fin ora. Penso possano dare spunti utili a chi si troverà nella situazione di implementare tale tipo di intervento. Come specificato, sono scettico sulla possibilità, e persino sull’opportunità, di puntare all’eliminazione totale di comportamenti in cui un alunno impone la propria volontà o potere su un altro. Tali comportamenti sono umani, e pensare di eliminarli completamente dalla scuola (che in quanto sistema sociale umano risponde alle caratteristiche di tutti gli altri sistemi umani) sarebbe come pensare di migliorare l’uomo nel suo complesso, in quanto specie, nelle sue caratteristiche più recondite. Ho parlato in un altro articolo (leggi) del pericolo insito in tale tipo di pensiero; penso invece che si dovrebbe lavorare per evitare che esistano vittime croniche di bullismo, coloro che in seguito rischiano di continuare a sentire il dolore delle ferite riportate negli anni difficili della scuola.

 

1) Il Bullismo si basa sulla scarsità di relazioni sociali della vittima cronica

Ci troviamo in accordo con coloro che leggono i fenomeni di bullismo in prospettiva sistemica, coinvolgenti cioè l’insieme del gruppo di studenti, e non unicamente la relazione tra la vittima e l’aggressore; al punto da individuare specifici ruoli che vanno oltre la dicotomia del bullo e del ‘bullizzato’, mettendo in risalto il contributo di ogni ragazzo presente all’evento violento (Sutton & Smith, 1999). Pensiamo quindi che un approccio di gruppo possa produrre risultati interessanti, anche considerando che una delle caratteristiche della vittima cronica che rendono il/la ragazzo/a facile preda dell’aggressore è il suo isolamento sociale (Kochenderfer & Ladd, 1996; Nansel et al., 2001). In questa prospettiva, propongo il primo principio: il lavoro di prevenzione del bullismo deve innanzitutto puntare a rafforzare i rapporti sociali all’interno del gruppo classe, con particolare attenzione verso i ragazzi più isolati, con maggiori difficoltà a crearsi un gruppo di supporto (ad esempio, coloro che sono appena arrivati nel gruppo classe; oppure quelli che, appartenenti a piccole minoranze etniche, faticano a relazionarsi con gli altri anche a causa delle loro difficoltà linguistiche). A tale scopo, penso siano da privilegiare le attività scolastiche in grado di permettere ai ragazzi di lavorare in piccoli gruppi, creando le condizioni per i membri di intensificare le relazioni al loro interno. Tali piccoli gruppi potrebbero essere costruiti ad hoc dall’insegnante in collaborazione con lo psicologo della scuola, includendovi al loro interno almeno un ragazzo che per le sue caratteristiche di personalità, può diventare un difensore (colui, cioè, che prende le parti della vittima contro il ragazzo più violento). Le attività in classe dovrebbero quindi contemplare, oltre alla lezione frontale, momenti in cui gli studenti possono contribuire alla costruzione della conoscenza scolastica, interagendo fra di loro e con l’insegnante. Tale metodo avrebbe la funzione di prevenire l’isolamento sociale della vittima, oltre a indubbi vantaggi per l’apprendimento (Brause, 1992).

 

2) Depotenziare l’effetto ‘palco’: togliere il pubblico al bullo

I comportamenti di prevaricazione sugli altri studenti suscitano molta ammirazione nei compagni. Specie durante l’adolescenza, periodo in cui il ragazzo/a è impegnato a differenziare la propria identità da quella del mondo degli adulti, spesso ribellandosi a regole che fino a poco prima dava per scontate (leggi articolo). Al contrario: gli altri presenti, testimoni di tali violazioni, spesso in segreto (ma a volte no) ammirano colui che, sfidando l’autorità costituita, assurge al ruolo di idolo ribelle.

Per questi motivi, qualora si abbia la possibilità di intervenire durante l’atto di prevaricazione, è importante allontanare i presenti. Se possibile, potrebbe essere una buona idea stare per qualche minuto in presenza della ‘vittima’ e del ‘carnefice’: evitando però di stabilire colpe e responsabilità (ogni presa di posizione a favore della vittima la renderebbe ancora più suscettibile di violenze future), ma semplicemente con l’obiettivo di permettere la nascita di un embrione di relazione fra i due, scevra dalla dinamica del ‘bullismo’, in quanto in assenza del pubblico che la sostiene.

 

3) Potenziare le capacità relazionali della vittima

Spesso le vittime croniche sono ragazzi che, per una serie di motivi, non hanno sviluppato le capacità relazionali necessarie a sottrarsi alla prevaricazione. In particolare, alcuni autori hanno rilevato che una risposta caratterizzata da una certa nonchalance della vittima (Smith et al., 2001). Una risposta che, in altre parole, comunica quanto segue: mi sono accorto della provocazione, ma la mia reazione indica che non mi ha ferito.

Nardone ad esempio, suggerisce di utilizzare una tecnica simile a quella atta a ribaltare una relazione di prevaricazione e violenza per certi aspetti simile, anche se in un contesto completamente diverso, quello del mobbing (Nardone & Balbi, 2008). Essa consiste nel chiedere paradossalmente all’aggressore di continuare a fare ciò che sta facendo, perchè ‘ogni volta che mi provochi o mi minacci mi stai aiutando a crescere e a rafforzarmi. Ti prego quindi di continuare, e ti ringrazio in anticipo per ciò che fai per me’; tale intervento, basato sul noto concetto di doppio legame (Watzlawick et al., 1974), si basa sul fatto che la provocazione, l’insulto, o la minaccia del bullo è rinforzante per quest’ultimo in quanto è opposto ai desideri della vittima. Nel momento in cui quest’ultima invita il bullo a continuare, inserisce quest’ultimo in una cornice differente, in cui se continua con le sue provocazioni acconsente ai voleri della vittima stessa. Altri esempi di risposte nonchalance possono essere quelle che contengono ironia (anche autoironia, particolarmente potente nel trasmettere il messaggio che non si è suscettibili alle provocazioni). Lo Psicologo, anche scolastico, dovrebbe avere però il compito di instaurare relazioni di vero e proprio coaching alla vittima, in modo da individuare, insieme al ragazzo, i modi più efficaci per rispondere al ‘bullo’, rafforzando al contempo il proprio status fra i compagni e le proprie relazioni sociali.

 

Dott. Giacomo Crivellaro
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze e Parma
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Bibliografia

Brause, Rita S. (1992). Enduring Schools: Problems and Possibilities. Washington: Taylor & Francis.

Kochenderfer, B. J., & Ladd, G. W. (1996). Peer victimization: Manifestations and relations to school adjustment in kindergarten. Journal of School Psychology, 34(3), 267-283.

Nansel, T. R., Overpeck, M., Pilla, R. S., Ruan, W. J., Simons-Morton, B., & Scheidt, P. (2001). Bullying behaviors among US youth: Prevalence and association with psychosocial adjustment. Jama, 285(16), 2094-2100 (vedi articolo).

Nardone, G., Balbi, E. (2008). Solcare il mare all’insaputa del cielo. Lezioni sul cambiamento terapeutico e le logiche non ordinarie. Firenze: Ponte alle Grazie.

Sanders, C. E., Phye, G. D. (2004). Bullying: Implications for the classroom. San Diego: Academic Press.

Smith, P. K., Shu, S., & Madsen, K. (2001). Characteristics of victims of school bullying. Peer harassment in school: The plight of the vulnerable and victimized, 332-351 (leggi).

Sutton, J., & Smith, P. K. (1999). Bullying as a group process: An adaptation of the participant role approach. Aggressive Behavior, 25(2), 97-111 (vedi articolo).

Watzlawick, P., Weakland, J. H., Fisch, R., & Ferretti, M. (1974). Change: sulla formazione e la soluzione dei problemi. Roma: Astrolabio.

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Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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