[vc_row][vc_column][vc_column_text]
La dipendenza dal cibo è un concetto controverso (Fletcher e Kenny, 2018). Diverse ricerche hanno infatti messo in evidenza il fatto che l’assunzione di cibi ad alto contenuto calorico (e molto gustosi) provoca modifiche in alcuni specifici circuiti cerebrali, specialmente in quelli che riguardano il ruolo del neurotrasmettitore dopamina e degli oppioidi endogeni nel meccanismo di ricerca di premi (Gearhardt, 2009). In altre parole, tali cibi hanno la capacità di assumere, e rafforzare nel tempo, il ruolo di premi desiderati e desiderabili, andando a costruire un circolo vizioso che, ripetuto nel tempo, tende a configurarsi in quella che le persone sperimentano a tutti gli effetti come una dipendenza.
Alcune sostanze frequentemente utilizzate come additivi, come il fruttosio ed in particolare la sua derivazione artificiale (il fruttosio derivato dall’amido di mais), il dolcificante più utilizzato nel confezionamento alimentare, possono indebolire l’azione della leptina, andando quindi a promuovere la pulsione ad alimentarsi ulteriormente. A sua volta, il sistema della leptina è collegato a quello della dopamina (Onoaolapo, 2018). Inoltre, rispetto al glucosio che promuove la produzione di insulina diminuendo quindi la voglia di mangiare, il fruttosio non ha questo effetto (Davis e altri, 2011).
Sembra quindi che esistano specifici effetti cerebrali, legati a determinate sostanze presenti in alcuni cibi, in grado di spingere l’organismo verso una nutrizione più intensa, contenente ulteriori quantità di quelle stesse sostanze.
Non si può però dimenticare il fatto che il concetto di dipendenza dal cibo fa riferimento a qualcosa che è assolutamente necessario e indispensabile per la sopravvivenza: al contrario di ciò che accade con altre sostanze, è impossibile vivere senza cibarsi. E questo punto costituisce un importante punto di distinzione rispetto, ad esempio, alle tossicodipendenze, le quali si costruiscono attraverso il rafforzarsi di bisogni che nulla hanno di naturale o intrinsecamente necessario.
Al contrario, proprio il fatto che (soprattutto) le persone significativamente in sovrappeso mettano coscientemente a repentaglio la loro salute in virtù della possibilità di nutrirsi di cibi, con la coscienza del rischio che rappresentano, costituisce un argomento a favore dell’idea di dipendenza alimentare.
E‘ necessario però distinguere la dipendenza da queste sostanze (intesa cioè, come detto, come specifiche trasformazioni a livello neurale o neurotrasmettitoriale), con le abbuffate, sintomo caratteristico di alcuni disturbi alimentari come il binge eating disorder o la bulimia. Se infatti nel primo caso facciamo riferimento ad uno specifico meccanismo cerebrale, nel secondo si fa riferimento ad un comportamento, il quale è solitamente sintomo di un disturbo alimentare più sfaccettato, in cui si instaura un circolo vizioso in cui si alternano abbuffate e restrizioni. Tutto ciò rafforza la sensazione di essere potentemente attratti dal cibo (Nardone, Verbitz e Milanese, 2008; Nardone e Valteroni, 2014). Naturalmente, come mostrano le ricerche, il fatto di soffrire di un disturbo alimentare non impedisce al corpo di soffrire anche degli effetti chimici delle sostanze che ingerisce tramite il cibo (Pelchat, 2009), ma è necessario usare cautela nel descrivere un fenomeno influenzato potentemente da variabili psicologiche (il disturbo alimentare) con concetti che fanno riferimento a meccanismi chimici (la dipendenza). Questi due aspetti si compenetrano in modo complesso nel caso dei disturbi alimentari.
Interventi e terapie
Gli interventi terapeutici sono differenti a seconda della tipologia; nel caso di disturbi alimentari con abbuffate l’intervento è di tipo psicoterapeutico strategico breve, un approccio terapeutico in grado di portare rapidamente alla risoluzione di questa sintomatologia sia qualora facesse parte di un disturbo da alimentazione incontrollata o bulimia (Nardone, 2007; Nardone, Verbitz e Milanese, 2008; Nardone e Selekman, 2011).
Nel caso di dipendenza intesa come equilibrio chimico, a livello cerebrale e corporeo, legato in modo insano a cibi ricchi di zuccheri, grassi o il glutammato (una sostanza in grado di intensificare artificialmente il gusto di molti alimenti, diffusamente presente nei cibi di origine industriale), viene utilizzata una combinazione di Terapia Breve Strategica e Ipnosi. Le due modalità si sposano molto efficacemente andando a costruire modalità alternative di gestire gli stressor che peggiorano il rischio di ricorrere a cibi spazzatura (vedi qui) da un lato e a costruire quel delicato equilibrio dinamico fra piacere e salute che caratterizza una sana relazione con il cibo.[/vc_column_text][vc_posts_slider title=”Forse ti possono interessare…” desktop=”5″ notebook=”4″ tablet=”3″ phones=”2″ posttypes=”post” posts_in=”22810, 28955, 28944, 24315, 24729″][vc_column_text]
Riferimenti bibliografici
Nardone, G. (2007). La dieta paradossale. Firenze: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Verbitz, T., Milanese, R. (2008). Le prigioni del cibo. Vomiting, anoressia, bulimia: la terapia in tempi brevi. Milano: TEA Pratica.
Nardone, G., Selekman, M. (2011). Uscire dalla trappola. Abbuffarsi, vomitare, torturarsi: la terapia in tempi brevi. Firenze: Ponte alle Grazie.
Nardone, G., Valteroni, E. (2014). Dieta o non dieta: per un nuovo equilibrio tra cibo, piacere e salute. Firenze: Ponte alle Grazie.
Pelchat, M. L. (2009). Food addiction in humans. The Journal of nutrition, 139(3), 620-622.
Pursey, K. M., Stanwell, P., Gearhardt, A. N., Collins, C. E., & Burrows, T. L. (2014). The prevalence of food addiction as assessed by the Yale Food Addiction Scale: a systematic review. Nutrients, 6(10), 4552-4590.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]
Articoli Recenti
Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)