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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

“Ecco il nostro problema; abbiamo consapevolmente diviso la coscienza in conscia e inconscia. Di nuovo una divisione del pensiero. E diciamo:” potrei liberarmi delle paure conosce, ma é quasi impossibile liberarsi di quelle inconsce perché le loro radici affondano tanto profondamente nell’incoscio”.

Jiddu Krishmnamurti

 

La terapia del disagio mentale è costellata di catastrofi. Interventi poco efficaci se non decisamente deleteri, ideologie teoriche applicate senza discriminazione nè discernimento, contenimento fisico o chimico, abuso (Scull, 2018). Capita di tanto in tanto che l’ultimo esploratore della natura umana scopra il “segreto definitivo” delle umane tribolazioni, correlato di relativa “soluzione finale”; ed eccolo dedicarsi all’applicazione indiscriminata della metodologia al paziente che ha la sventura di incappare in uno dei suoi seguaci zelanti, dediti alla “cura” quanto alla difesa della parola del profeta.

 

Il caso Ramona

 

Nel 1994 si concluse un vicenda giudiziaria che avrebbe avuto profonde ripercussioni su un certo modo di intendere la psicoterapia.

Il procedimento giudiziario seguì quello di Holly Ramona verso il padre Gary, accusato di averla molestata sessualmente durante l’infanzia. Il processo si concluse [1] a vantaggio di quest’ultimo, ma la vicenda si protrasse quando il padre accusò la terapeuta della ragazza di aver plagiato la figlia con i suoi procedimenti terapeutici, che le avrebbero alterato la memoria, costruendo letteralmente dei falsi ricordi di abuso infantile che, di fatto, non si sarebbero mai verificati. La corte gli diede ragione.

Pare infatti che la giovane, giunta in terapia per problemi di bulimia e depressione, fosse stata trattata con una sostanza, il sodio amytal, che oltre ad agire come ipnotico veniva ritenuto in grado di facilitare l’accesso a memorie rimosse, seppellite negli oscuri meandri dell’inconscio. Quando “ricordò”, durante una di queste sedute, gli abusi subiti, manifestò comunque dei dubbi sulla veridicità delle memorie emerse, dubbi che furono prontamente smentiti dall’equipe curante.

Sulla base delle stesse memorie, più avanti, avrebbe portato il padre in tribunale.

 

Processi di (ri)costruzione

 

Alla base degli interventi della terapeuta c’erano alcune premesse teoriche: che risalire alla causa dei malesseri della paziente fosse possibile, che tale causa fosse stata dimenticata e che riportarla alla consapevolezza fosse fondamentale per la sua “guarigione”.

Era per raggiungere quest’ultimo obiettivo che aveva usato il sodio amytal, un preparato chimico all’epoca considerato, in alcuni ambiti, utile a recuperare i ricordi rimossi di avvenimenti traumatici del passato (Naples e Hackett, 1978). In altri casi veniva utilizzata l’ipnosi, sempre intesa come una modalità (stavolta senza l’uso di sostanze narcotizzanti) per raggiungere quello stato di sospensione della coscienza utile a riportare a consapevolezza i traumi subiti [2].

In alcune correnti terapeutiche dell’epoca era diffusa la convinzione che l’abuso fisico o sessuale infantile fosse molto più diffuso di quanto non si pensi; al punto che tali abusi erano spesso considerati le cause “nascoste” di molti disturbi psicologici. Ho detto nascoste perchè si pensava che questi traumi, sepolti difensivamente nelle profondità dell’incoscio, potessero in molti casi essere raggiunti dalla consapevolezza solo tramite tecniche come il sodio amytal o l’ipnosi regressiva. I casi in cui ai “ricordi recuperati” all’interno di procedure terapeutiche più o meno avventurose erano seguiti arresti e persino condanne sono lontani dall’essere isolati, fin quando il dibattito esplose, all’inizio degli anni ’90 (Lotus e Davis, 2006)

 

L’illusione di alternative

 

Al contrario di quanto accade usualmente nel trattamento del disturbo post-traumatico da stress, il fatto che le persone non ricordassero il trauma non era considerato, dai seguaci delle prassi esposte, un segnale del fatto che il trauma di fatto non ci fosse. Non ricordare era sintomo di forte rimozione, meritevole quindi di essere attaccata con tecniche più o meno aggressive [3].

Questo fu uno dei punti di maggior scontro all’interno della comunità scientifica; gli studi sulla memoria evidenziano infatti che, anche in presenza di eventi traumatici devastanti, la percentuale di persone che “dimenticano” tali eventi è minima (Lotus e Davis, 2006). La forte emozione collegata ad un evento tende, al contrario, a fissare il ricordo nella memoria, rendendone più facile l’accesso.

Il modo di ragionare di questi terapeuti tendeva a creare quella che Popper (un famoso filosofo della scienza) chiamava una situazione di non falsificabilità di un’ipotesi: se il soggetto ricordava il trauma, era trovata la causa; se non lo ricordava c’era comunque, sebbene rimosso. Ogni problema o disturbo psicologico diventava quindi potenziale sintomo di un abuso infantile “rimosso”.

 

Chi cerca trova

 

Ogni tecnica di svelamento utilizzata entrava quindi a far parte di un perverso processo suggestivo che progressivamente, col passare degli anni, contribuiva a costruire i “ricordi” del trauma. Ricordi che, beninteso, non sempre si riferivano ad una realtà storica, bensì a qualcosa che la situazione terapeutica aveva contribuito a generare, nutrire e solidificare. L’immaginazione, scambiata per rievocazione, diveniva realizzazione (Loftus, 1997).

Un capitolo a parte è quello che riguarda un uso strumentale dei gruppi di auto-mutuo aiuto, a cui i pazienti erano invitati a partecipare non per trovare un gruppo di supporto al loro problema, ma perchè frequentare persone che avevano subito (oppure “ricordato”) i loro abusi avrebbe contribuito a farglieli ricordare a loro volta. La terapia, il gruppo di mutuo aiuto, le tecniche suggestive costruivano attorno al paziente una fitta rete di influenze che, con il tempo, creavano la narrazione dell’abuso, e i falsi ricordi correlati.

Quanto poi all’efficacia di tale impostazione, rimane tutta da dimostrare: i pazienti (o, più spesso, “le” pazienti), carichi di rabbia verso le famiglie di origine, provvedevano a troncare i rapporti. Quando possibile, poi, venivano avviate cause legali dall’esito incerto – e qui torniamo alla storia di apertura: il caso Ramona.

 

…e fine della storia

 

Il padre della suddetta paziente non solo venne riconosciuto innocente, ma anche meritevole di un risarcimento di circa cinquecentomila dollari da parte dell’equipe terapeutica che aveva “trattato” la figlia; alla sensibilità di ognuno valutare se tale somma possa effettivamente risarcire del divorzio seguito alle accuse, della sofferenza e conflittualità familiare, per non parlare della perdita del lavoro.

Si tratta di un capitolo oscuro per la mia professione, che rimanda a riflessioni importanti: lo statuto di verità di certe memorie [4], la possibilità di risalire alle cause partendo dai fenomeni osservabili nel presente, la stessa esistenza (o meno) dei traumi rimossi e dimenticati.

Nonchè forse l’opportunità di procedere a ricostruzioni archeologiche del passato (vedi Nardone, 1994) che poco possono aiutare a cambiare il presente.

 

Riferimenti Bibliografici

Davis, D., Loftus, E., & Follette, W. C. (2001). Commentary: How, when, and whether to use informed consent for recovered memory therapy. JOURNAL-AMERICAN ACADEMY OF PSYCHIATRY AND THE LAW29, 148-159.

Loftus EF: Creating false memories. Sci Am 277:70-5, 1997

Loftus, E. F., & Davis, D. (2006). Recovered memories. Annu. Rev. Clin. Psychol.2, 469-498.

Geraerts, E., Lindsay, D. S., Merckelbach, H., Jelicic, M., Raymaekers, L., Arnold, M. M., & Schooler, J. W. (2009). Cognitive mechanisms underlying recovered-memory experiences of childhood sexual abuse. Psychological Science20(1), 92-98.

Gulotta, G. (1980). Ipnosi: aspetti psicologici,, clinici, legali, criminologici. Milano: Giuffrè.

Meyer, C. (2006). Il libro nero della psicoanalisi. Fazi, Roma.

Naples, M., & Hackett, T. P. (1978). The amytal interview: history and current uses. Psychosomatics19(2), 103-105.

Nardone, G. (1994). Manuale di sopravvivenza per psico-pazienti. Firenze: Ponte alle Grazie.

Ofshe, R., & Watters, E. (1996). Making monsters: False memories, psychotherapy, and sexual hysteria. Univ of California Press.

Polusny MA, Follette VM: Remembering childhood sexual abuse: A national survey of psychologists’ clinical practices, beliefs, and personal experience. Prof Psychol: Res & Pr 27:41-52, 1996

Porter, S., Yuille, J. C., & Lehman, D. R. (1999). The nature of real, implanted, and fabricated memories for emotional childhood events: Implications for the recovered memory debate. Law and human behavior23(5), 517-537.

Scull, A. (2018). Follia. Oxford: Oxford University Press.

http://www.ipt-forensics.com/journal/volume6/j6_1_3.htm

 

[1] Per la sentenza vedi qui

[2] Per inciso, questo è un uso improprio dello strumento ipnosi. Citiamo Gulotta che sull’argomento si esprime come segue: “È anche riconosciuto che dei soggetti, pur avendo accettato l’ipnosi volontariamente possono ricordare versioni distorte dei fatti realmente accaduti, accompagnando questi ricordi con segni esteriori di convinzione che possono ingannare gli altri”. Inoltre, una cosa è utilizzare l’ipnosi per andare alla ricerca di un evento che si sospetta sia accaduto in qualche momento, cosa diversa è utilizzare l’ipnosi per superare l’amnesia di un evento che ci sono prove si sia vissuto (vedi Gulotta, 1980).

[3] C’è un aspetto che differenzia l’esperienza di ricordare un evento grazie ad un incontro casuale con un oggetto che ce lo ricorda e la “ricostruzione” effettuata in alcune terapie delle memorie represse. Se nel primo caso il ricordo torna come un’ondata, aprendosi completamente alla consapevolezza, in quest’ultimo si tratta di solito di sensazioni e immagini confuse, che acquistano vividezza e complessità con l’andare del tempo – la costruzione di una narrazione (Lotus e Davis, 2006).

[4] Se è vero che esistono casi in cui sono stati ricordati abusi in seguito provati (e quindi veri), è anche vero che almeno in alcuni casi si trattava di persone che in un determinato momento hanno ricordato il trauma in modo più vivido, dimenticandosi subito dopo il fatto che lo ricordavano già in precedenza (vedi Geraerts et al., 2009). Un’altra distinzione che emerge dallo studio è fra le persone che avevano “ricordato” episodi di abuso durante colloqui o incontri terapeutici e coloro che, invece, le avevano ricordate spontaneamente, semplicemente entrando in contatto con uno stimolo che aveva riacceso il ricordo.

 

Disclaimer

Ci sono alcune cose che NON voglio dire con questo post. NON intendo sostenere (ovviamente) che non esistano gli abusi sessuali infantili. NON intendo dire che chiunque ricordi all’improvviso (dentro o fuori la stanza della terapia) un abuso abbia costruito un falso ricordo. Sono più che consapevole che la sofferenza umana può assumere forme estreme e strazianti, che segnano con cicatrici indelebili alcune esistenze, contribuendo a dare loro forma, nel bene o nel male. INTENDO DIRE che è compito di noi clinici trovare i modi migliori per aiutare le persone, evitando di far sì che ciò che crea le cicatrici sia lo stesso bisturi che usiamo per curarle.



Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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