Vista da Superga, Torino dà l’impressione di essere distesa su un materasso sfondato, le colline da un lato, l’abbraccio delle Alpi dall’altro; lei, pigramente al centro. Vedi la Mole, incastrata fra i palazzi, e ti pare come sempre un po’ pretenziosa, con quel suo voler essere più alta degli altri. Vedi Piazza Vittorio, quel suo squadrare il Po dall’alto al basso, come se dovesse essere quest’ultimo a inchinarsi ai suoi portici, e non viceversa. Vedi la Dora che serpeggia in mezzo alla città, come un animale selvatico finito per sbaglio in mezzo al traffico. Ma se ti fermi a guardare più a lungo, sciogliendo le cime ai tuoi pensieri, puoi quasi vedere te stesso, che cammini, e ti aggiri, a volte guardingo, a volte incantato.
Una transessuale e una ragazza sulla trentina camminano insieme, la prima esile quanto massiccia la seconda. Un giorno la ragazza stava rientrando a casa, quando un ladro ha cercato di rubarle la borsetta. La trans è intervenuta, e quando il ladro impaurito era ormai scappato, l’ha accompagnata a casa, per assicurarsi che stesse bene.
Camminando, ondeggia leggermente; porta un fiore di pezza legato ai capelli, e puoi quasi pensare che sia felice in quel momento, puoi quasi invidiarla.
Un senzatetto è seduto al riparo della pioggia in Piazza San Carlo. C’è un gruppo di amici che si è dato appuntamento lì a fianco, uno di loro ha portato la chitarra, l’altro un’armonica e ce n’è uno a cui piace cantare, vecchi pezzi, divertimento senza un domani.
La barba è lunga ma non così lunga, le mani paiono forti, dita bitorzolute, pelle secca e rugosa. Si chiama Sergio, sardo di origine. Fa due chiacchiere con uno studente universitario che è arrivato in bici, per ripararsi dalla pioggia. Più tardi, gli mostra il bancomat in cui di solito si ripara per la notte, anche se di giorno deve nascondere le coperte, per evitare che qualche tossicodipendente gliele rubi.
C’è un uomo di trent’anni che ha saputo che un paziente della clinica in cui lavorava fino a qualche anno prima, si è tolto la vita. Due lacrime rotolano sull’asfalto bagnato; e subito si mischiano alla pioggia.
Gli adolescenti arabi di Aurora si muovono a gruppetti rumorosi. Le ragazze, forse inconsapevoli di quanto il velo regali alla loro femminilità, cercano di nasconderlo dietro ai jeans e allo smalto delle unghie, senza riuscirci. I maschi, incerti nella loro infantile spavalderia, chiudono un semicerchio che è protezione ma anche difesa. Tutti, fingono di non sapere che a breve il giudice potrebbe rifiutare ai genitori il permesso di soggiorno.
Due amici camminano insieme su Corso Giulio; alla fine di Novembre, comincia a fare fresco sul serio. Vedono un uomo, massiccio, le spalle squadrate sono disarmoniche, come quelle di chi sa che i muscoli hanno una funzione diversa dall’estetica. Indossa una maglietta a maniche corte bianca, dei pantaloncini blu, e un paio di infradito impolverate. “Sarà un bulgaro, o forse un russo”, dice uno dei due. Rimangono in silenzio per qualche secondo, osservando l’umanità che si dispiega davanti a loro.
“Girare per Torino è come fare l’amore con una donna che non vedrai mai più”, dice l’altro. L’amico lo guarda con un po’ di sorpresa…e sorride.
…a Torino.
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