Vi capita mai di non sapere quanto di ciò che fate o dite sia farina del vostro sacco, o quanto abbiate preso, anche inconsapevolmente, dagli altri? Voglio dire: se dico o penso una cosa, l’ho creata io? Oppure mi sono lasciato ispirare da qualcun altro?
Non che sia fondamentale saperlo. Ma mi affascina l’idea che siamo interconnessi, costantemente interrelati gli uni agli altri come gli alberi di una foresta.
I cosiddetti “neuroni specchio” sono una piccola zona cerebrale che si attiva non solo quando compiamo un’azione, ma anche quando osserviamo qualcuno muoversi. Si attivano quando la persona che abbiamo dinanzi muove i muscoli del viso per sorridere, piangere, digrignare i denti o baciare. Si attivano quando guardiamo un atleta in televisione o quando, bambini, abbiamo guardato con occhi pieni di speranza alla mamma, che ci sorrideva con amore (Iacoboni, 2008).
Sono cellule dalla natura incredibile: ci permettono di vivere sulla nostra pelle l’esistenza degli altri e le loro emozioni, ci legano a filo doppio alle persone e alle relazioni, ci salvano dall’isolamento della nostra solitudine. Ci rendono parte dell’universo dell’Uomo, in costante continuità con chi è stato, chi è e chi sarà. Lo spazio dello spettatore e dell’attore sono lo stesso spazio, e noi interpretiamo costantemente entrambi i ruoli (Sofia, 2009).
Anche l’idea di cultura, vista così, cambia radicalmente. La nostra cultura, quale che sia, non è qualcosa che ereditiamo come un conto in banca, una casa o una credenza, ma invece un modo di stare nel mondo che contribuiamo a costruire ogni volta che, per strada, incrociamo lo sguardo del panettiere, del senzatetto, del sindaco del paese. Ogni interazione è un’occasione per cambiarci, per migliorarci, e per trasformare il mondo. Come sottolinea Fogel (1993)
[…] il bambino si sviluppa come parte delle sue interazioni all’interno della famiglia. La cultura non si impone al bambino tramite categorie ampie come “giusto” o “sbagliato”. I comportamenti accettabili culturalmente si sviluppano spontaneamente come parte delle interazioni del bambino con gli altri.
Immaginatevi un’immensa rete, che avvolge tutti, che tutti lega in una miriade di influenze reciproche, tale per cui ognuno è legato al proprio vicino, che è legato al proprio vicino, e così via. L’interazione quotidiana porta a modificare l’altro modificando sè stessi, ed ogni singola frase, complimento, insulto, emozione, espressione durano e muoiono in un attimo, ma allo stesso tempo vivono per l’eternità, nelle onde d’influenza che smuovono le altre parti della rete.
Una piccola considerazione personale. A volte mi scopro idealista impenitente, e questo mi crea un problema, perchè cerco di usare il cervello, e spesso la logica impedisce di sperare.
La natura dei neuroni specchio, però, ci indica che siamo molto più portati a comprenderci gli uni con gli altri che non a distanziarci. E’ una parte talmente naturale del nostro funzionamento cerebrale che pare si attivi già nei primi mesi di vita, influenzandoci in tutto il nostro sviluppo successivo. Ciò significa che una percentuale molto importante della nostra esistenza si costruisce attorno alla nostra capacità di comprendere ciò che vivono le persone attorno a noi, sentire ciò che sentono, percepire le loro reazioni come fossero nostre.
Quindi, entrare in comunione con gli altri è qualcosa di molto più naturale che non costruire barriere ideologiche, culturali o religiose che ci separano; quelle arrivano dopo. E anche se molti cercano di comportarsi come se fossero più importanti, mi chiedo spesso se a volte non sia più semplice tornare piccoli, lasciare che la nostra relazionalità più profonda si manifesti. Al di là delle idee, delle divisioni, dei conflitti.
Bibliografia
Fogel, A. (1993). Developing through relationships. Origins of Communication, Self and Culture. Chicago, The University of Chicago Press.
Iacoboni, M. (2008). Neuroni specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri. Torino: Bollati Boringhieri.
Sofia, G. (2009). Dialoghi tra teatro e neuroscienze. Roma: Edizioni Alegre.
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