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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

 

Quali siano esattamente le funzioni del sonno per l’organismo e il cervello umano è ancora oggetto di dibattito fra gli studiosi, che non sono giunti ad una risposta univoca e definitiva: si sa per certo che la mancanza di sonno derivata dall’insonnia può avere gravi effetti sulla mente delle persone, mettendo seriamente in difficoltà la loro capacità di affrontare gli impegni quotidiani, per non parlare del senso di benessere.

Molti pensano che il sonno abbia una funzione fondamentale nel fissaggio della memoria, cosa che avviene durante la paradossalmente incrementata attività cerebrale del sonno REM; trovarsi lungamente a debito di sonno rende difficoltose operazioni quotidiane prima piuttosto semplici e rende difficile concentrarsi, imparare e riflettere.

Per questo lo studio dell’insonnia è particolarmente importante; essa pone un serio limite al livello di benessere raggiungibile dalle persone, fino a amputarne la agentività e i progetti di vita.

Ma per prima cosa, è necessario chiedersi: come è strutturato il sonno? Esso, lungi dall’essere un fenomeno monolitico, segue un andamento oscillante durante la notte, attraversando fasi specifiche e ampiamente studiate dai ricercatori.

 

Le fasi del sonno

 

Il sonno segue un andamento ‘a onda’, con quattro fasi in cui la profondità del sonno è crescente (la 3 e la 4 includono il sonno profondo). Al momento dell’addormentamento si entra nella fase 1, quella che costituisce il ponte, il momento cioè in cui si passa dalla veglia al sonno. E’ caratterizzata da un livello di attivazione neurovegetativa basso (in gergo ‘arousal’), frutto del progressivo rilassamento neuromuscolare precedente. Ha durata molto breve, circa cinque minuti, e porta velocemente alla fase 2, che dura dai 10 ai 15 minuti, e corrisponde al momento in cui le persone dicono di ‘addormentarsi’. La fase 1 costituisce quindi una fase preparatoria, mentre la seconda è il momento in cui si percepisce lo ‘spegnimento’ della consapevolezza tipico del sonno. Le fasi 3 e 4 sono caratterizzate da un sonno molto profondo, e insieme durano dai 20 ai 40 minuti; spesso si parla di ‘sonno delta’ o di ‘sonno a onde lente’, riferendosi a specifici segnali rilevati dall’elettroencefalogramma. Un brusco risveglio all’interno di questo ‘sonno profondo’ incrementa il fenomeno della cosiddetta ‘inerzia del sonno’, la sensazione di rallentamento e difficoltà di concentrazione che seguono la sveglia.

A questo punto la sequenza si inverte, procedendo al contrario dalla fase 4 alla 1, quando si verifica il primo episodio di sonno REM. Esso è stato anche soprannominato ‘sonno paradossale’, in quanto si verifica una perdita profonda di tono muscolare, mentre il livello di attività dell’encefalo e del Sistema Nervoso Autonomo raggiunge livelli simili a quelli della veglia. Il sonno prosegue quindi in un continuo oscillare tra le diverse fasi del sonno, dalla prima alla quarta e viceversa, fino al sopraggiungere del trillo della sveglia.

Questo è particolarmente importante per le persone che soffrono di insonnia di tipo 2 e 3 (vedi sotto), in quanto il loro sonno si interrompe quando è più leggero, durante le fasi 1 e 2.

 

La difficoltà di dormire: l’insonnia

E fin qui abbiamo parlato di come funziona il sonno ‘normale’, quello che, nel bene o nel male, ci lascia soddisfatti e capaci di affrontare la giornata che ci aspetta. Dobbiamo ora occuparci dell’insonnia, di come si manifesta e di quali sono i meccanismi psicologici e fisiologici che la mantengono. Ma per prima cosa possiamo cominciare col dire che esistono essenzialmente quattro tipi di insonnia, ognuno con caratteristiche a sè.

 

Insonnia da difficoltà di addormentarsi

Come indica il nome, questo primo tipo di insonnia riguarda le persone che si preparano per andare a letto, si sdraiano per tempo, e al momento di addormentarsi non riescono a prendere sonno, rimanendo sveglie spesso per ore fissando il soffitto o pensando e riflettendo, fin quando il sonno le coglie, spesso in grande ritardo rispetto al momento in cui, la mattina dopo, dovranno alzarsi. Come altri tipi di insonnia spesso comporta un certo spossamento e spesso è accompagnata ad un certo livello di ansia anticipatoria: “faccio tutto ciò che devo per andare a dormire, ma ho il dubbio/sospetto/certezza che non riuscirò ad addormentarmi”.

Insonnia da risvegli notturni

Altri invece non hanno difficoltà ad addormentarsi, mentre il loro problema consiste nello svegliarsi una o più volte nel mezzo della notte e nel fare fatica a riprendere sonno. Il riposo notturno risulta quindi spezzettato, lasciando un senso di insoddisfazione e frustrazione: “potevo dormire, avevo tutto il tempo per farlo, ma ciònonostante non ci sono riuscito”.

Insonnia da risveglio anticipato

Altri invece, non hanno problemi ad addormentarsi e non si alzano durante la notte, ma tendono a svegliarsi con grande anticipo rispetto alla sveglia, spesso verso le 4.00/5.00, e non riescono a riaddormentarsi. I problemi esistenziali che caratterizzano i primi due tipi sono presenti anche in questo: la frustrazione (che spesso lascia il posto alla rabbia) per l’occasione di riposo mancata, il deperimento delle performance lavorative e sociali, il senso di stanchezza opprimente e la mancanza di energie.

Il sonno che non riposa

Altri, invece, dormono un normale numero di ore per notte, senza difficoltà ad addormentarsi, senza risvegli notturni o mattinieri, ma lamentano comunque un sonno di scarsa qualità, che li lascia insoddisfatti. Spesso hanno la sensazione che i pensieri e le preoccupazioni della giornata li seguano in camera da letto, invadendo fastidiosamente il sonno (Espie, 2003). Da notare che non sempre la percezione soggettiva della qualità del sonno risulta in accordo al risultato dei test; ciònonostante è stato verificato che il detrimento del funzionamento giornaliero è associato più fortemente a quest’ultima rispetto ai risultati dei test neuropsicologici.

 

Alcune brutte abitudini che peggiorano il sonno

Cominciamo col parlare di come migliorare il nostro sonno quando non soffriamo d’insonnia; vediamo quindi alcune brutte abitudini che sarebbe opportuno perdere per migliorare sensibilmente la qualità del nostro riposo e, di conseguenza, del nostro funzionamento diurno.

 

Caffeina

Il caffè è una bevanda che viene consumata con la precisa intenzione di stimolare la capacità di stare svegli ed eliminare il sonno (assieme ai suoi equivalenti chimici tè, mate, ecc.); è quindi sorprendente il numero di persone che bevono caffè prima di andare a dormire. Esistono degli studi che mostrano che il caffè può, in alcuni casi, migliorare la qualità del sonno, ma solo se l’addormentamento avviene entro mezz’ora dall’assunzione. Di sicuro, invece, vi è il fatto che la caffeina provoca una serie di reazioni fisiche che mal si accordano con il sonno: ad esempio, aumenta l’afflusso di sangue e di ossigeno al cervello (per questo dà la sensazione di aiutare la concentrazione), aumenta il livello di zuccheri nel sangue, velocizza la diuresi e aumenta i livelli dei due neurostrasmettitori adrenalina e noradrenalina.

Alcool

Vino, birra e compagnia costituiscono un piacere che fa parte della routine di molti, soprattutto durante pasti in compagnia o occasioni sociali. Per quanto riguarda la qualità del sonno, però, nonostante l’alcool abbia un effetto ansiolitico e nell’immediato sembri quindi aiutare il rilassamento, in realtà risulta in una alterazione dell’equilibrio funzionale del sistema nervoso durante la notte, portando ad un sonno spezzettato e poco ristorante (Sagawa et al., 2011).

 

Tablet, cellulari e altri schermi

Gli effetti che le nuove tecnologie (o le vecchie, utilizzate in modo diverso) hanno sul nostro sistema nervoso, sul modo in cui stiamo svegli e sul modo in cui dormiamo sono oggetto di studio costante e mai definitivo. Diverse ricerche hanno però rilevato che l’utilizzo di dispositivi con schermi luminosi (cellulari, tablet, ecc.) dopo lo spegnimento delle luci diminuisce la secrezione di melatonina, un ormone che regola i cicli sonno/veglia e che è prodotta solo in assenza di luce (Wood et al., 2012). Infine, una ricerca su larga scala ha mostrato una correlazione decisamente significativa tra l’utilizzo del telefono cellulare (ad esempio per inviare messaggi) fino al momento di addormentarsi e una ridotta qualità del sonno, fino all’insorgere di problemi di insonnia (Munezawa et al, 2011).

 

Le “psicotrappole” dell’insonnia

Finora abbiamo parlato delle caratteristiche del sonno e di quelle dell’insonnia, cercando di capire i due fenomeni; nella sezione successiva ci occuperemo di esporre che cosa possono offrire i più moderni metodi psicoterapeutici per superare l’insonnia: trascureremo gli approcci farmacologici perchè consideriamo gli interventi basati sulla chimica limitati nella pratica e nei risultati. Gli ansiolitici afferenti al gruppo delle benzodiazepine, la classe di psicofarmaci più frequentemente utilizzati in questi casi, spesso portano a spiacevoli fenomeni di tolleranza e dipendenza; se da un lato possono aiutare a tamponare l’insonnia nel breve periodo, spesso richiedono discrete tribolazioni per cessare l’assunzione del farmaco, aggiungendo un problema al problema. Ci concentreremo quindi sulle tecniche psicoterapeutiche che tendono a costruire sulle risorse del paziente, in modo che al termine dell’intervento (strutturato come breve, dalle quattro alle dieci sedute), quest’ultimo abbia appreso e sperimentato tutto ciò che gli serve per impostare il proprio ritmo sonno/veglia in modo salutare.

 

“L’insonnia mi sta rovinando la salute”

Spesso le persone insonni nutrono il terrore di stare subendo dei danni fisici che potrebbero divenire irreparabili qualora il problema dovesse permanere. Come abbiamo già specificato, è molto raro che questo timore possa avere una qualche base scientifica; esso, però, spesso aggiunge tensione al momento dell’addormentamento, rendendolo sempre più fonte di ansia, dato che il paziente sente che la sua salute è in pericolo. Prendere sonno in tali condizioni è ancora più difficile.

“Dovrei essere capace di controllare quanto dormo”

L’addormentamento è un fenomeno spontaneo, nel senso che non è regolato dalla volontà intenzionale in senso stretto. Alcune persone sofferenti di insonnia, però, si sforzano con tutte le loro energie di addormentarsi. Come hanno sottolineato alcuni studiosi del comportamento e della comunicazione (Watzlawick et al., 1974), cercare di ottenere volontariamente un fenomeno spontaneo intrappola le persone in un vicolo senza uscita, data l’intrinseca impossibilità dell’impresa, che rende impossibile proprio il raggiungimento della meta che si cercava con tanta pervicacia. Frustrazione si aggiunge a frustrazione, dato che il senso di spossamento aumenta in parallelo all’intensità con cui si cerca l’agognato sonno.

 

Sforzarsi di rilassarsi

Il rilassamento muscolare e mentale è una faccenda piuttosto complessa, che include aspetti volontari e involontari. Può avere a che fare con la tensione muscolare, con il livello di attivazione mentale e neurovegetativa, con la percezione di pericoli reali o immaginati e con molti altri fattori. Possiamo però dire che, se il rilassamento  può aiutare il sonno, le due cose non sono necessariamente sequenziali: è possibile rilassarsi senza addormentarsi almeno quanto il sonno può essere inquieto ma non ristoratore. Per questo, sebbene alcuni training in tecniche di rilassamento e focalizzazione dell’attenzione possano entrare a far parte del trattamento dell’insonnia essi non ne costituiscono la soluzione in senso stretto. Cercare di rilassarsi per riuscire ad addormentarsi infatti, come vedremo, è fonte di tensione.

Sforzarsi di dormire

L’addormentamento (cioè le fasi 1 e 2 del sonno) è per definizione il momento in cui la volontà si abbandona, le intenzioni del giorno vengono messe tra parentesi, il pensiero assume tonalità fluttuanti e leggere fino al galleggiamento ondeggiante del sonno. Si tratta di un processo spontaneo del sistema corpo/mente; esso può essere favorito o evocato, ma mai indotto direttamente. Come hanno mostrato infatti gli studi sulla comunicazione umana (Watzlawick et al., 1971), cercare di provocare intenzionalmente e volontariamente un comportamento spontaneo intrappola la mente in un paradosso logico senza uscita: proprio perchè si tratta di qualcosa di spontaneo, non può essere provocato dalla volontà. Vediamo quindi molte persone che, proprio perchè decise ad addormentarsi, non riescono a prendere sonno.

 

Restare a letto senza dormire

 L’ultima ‘Psicotrappola’ del dormire riguarda il tentativo, comune a molti insonni, di restare a letto (spesso sforzandosi di dormire o di rilassarsi) anche quando sono ormai svegli. Si tratta di un comportamento che non aiuta il superamento dell’insonnia in quanto, dopo un certo numero di volte, il letto smetterà di essere associato alla memoria come unicamente il luogo per il sonno, ma come il posto in cui possono essere svolte un certo numero di altre attività, come leggere o guardare film o video. Come vedremo, uno dei primissimi interventi in caso di insonnia riguarda proprio questo aspetto, includendo una paradossale riduzione del numero di ore passate a letto.

 

Psicoterapia Breve Strategica dell’Insonnia

 

Il trattamento strategico dell’Insonnia, sulla base di quanto detto sopra, si struttura come un intervento su più livelli, volto ad eliminare uno per uno i fattori che contribuiscono a mantenere questo problema così sofferto.

Da un lato, infatti, è necessario lavorare sulle percezioni disfunzionali: viene introdotta dolcemente l’idea che non sia l’Insonnia in quanto tale a provocare danni fisici, ma la totale carenza di sonno prolungata. Da un lato, infatti, il debito di sonno causato dall’insonnia può provocare qualche piccolo fastidio, ma perché possa esserci un reale danno fisico strutturale la deprivazione deve essere talmente prolungata da risultare impossibile da sostenere senza addormentarsi spontaneamente.

Altri pazienti con peculiari caratteristiche personologiche possono coltivare l’idea che il sonno possa essere un fenomeno volontario, una azione come le altre, mosse da un’intenzione che stimola qualche muscolo corporeo. Questa idea è particolarmente perniciosa per il sonno, che è invece un fenomeno spontaneo, lontano da sforzi di volontà che finiscono invece per danneggiarlo: l’azione intenzionale può solo creare le condizioni perché si verifichi.

In altri casi ci concentreremo sulle abitudini di addormentamento disfunzionali, che rendono le braccia di Morfeo tremolanti o poco accoglienti. Nel paragrafo sopra abbiamo mostrato come alcune sostanze o abitudini siano particolarmente nocive per il sonno, come la caffeina, la cannabis oppure il ricorso a forme di intrattenimento tramite degli schermi.

Ma nei casi di Insonnia strutturata, che si mantiene inalterata notte dopo notte e sembra ripetersi uguale a sé stessa nonostante tutti i tentativi di risolverla, spesso si incontra un intersecarsi di più fattori fra quelli elencati. L’intervento si sviluppa quindi durante il colloquio, ristrutturando le percezioni disfunzionali, e tramite l’uso di peculiari prescrizioni comportamentali basate su logiche non lineari (paradossali o contraddittorie). L’Insonnia, al pari di altri tipi di problematiche o disturbi, si basa in questi casi su precisi meccanismi di funzionamento che possono essere interrotti (spesso nell’arco di poche sedute) con adeguati accorgimenti e interventi ad hoc. 

Il lavoro non si esaurisce però con la destrutturazione dell’equilibrio disfunzionale del disturbo: al termine di questa prima e decisiva parte dell’intervento ve ne è una seconda, altrettanto fondamentale. Essa è focalizzata sulla stabilizzazione del nuovo equilibrio raggiunto, al fine di eliminare il rischio di ricadute. Si procede quindi a seguire il paziente con sedute di follow-up sempre più distanziate nel tempo, in modo da dare continuità ai cambiamenti avvenuti e acquisire abitudini e atteggiamenti funzionali con le proprie caratteristiche di personalità ed i propri bisogni fisiologici, evitando in modo stabile il nuovo instaurarsi della spirale del disturbo.

 
 

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Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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