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Giacomo Crivellaro | Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve Strategica e Ipnosi
Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)

 

La Malattia

 

Alla base della medicina occidentale (per distinguerla da altre medicine tradizionali, ayurvedica, cinese, ecc. ecc.) c’è il concetto di diagnosi. Esso si riferisce ad un insieme di procedure, test, esami e analisi utili a individuare il male di cui è affetto il paziente. Funziona suppergiù in questo modo: vengono raccolti i segnali, che possono essere sintomi (percezioni soggettive di anormalità) e segni (rilevazioni oggettive effettuate dal medico), utili a delineare la presenza di una sindrome (un insieme di segni e sintomi). Il medico a questo punto si mette all’opera per individuare l’origine della sindrome (cioè la malattia), capire cioè quale sia il processo o l’agente esterno che ha dato luogo alla modifica dell’equilibrio abituale dell’organismo del paziente.

 

La Malattia Mentale

 

Alle origini del concetto di Malattia Mentale vi è il lavoro di Kraepelin, psichiatra di inizio ‘900 che si occupò di distinguere i due tipi principali di malattia mentale, la schizofrenia (allora dementia praecox) e la psicosi maniaco-depressiva (ora disturbo bipolare). Tali condizioni patologiche, secondo Kraepelin, erano manifestazioni comportamentali e psicologiche di una sottostante patologia organica non ancora delineata. Egli fu anche il padre di tutte le moderne classificazioni psichiatriche, ereditate da lui in Europa ed esportate negli Stati Uniti a partire dagli anni ’70, e portarono alla costruzione del DSM-III nel 1980.

 

Malattie Mentali e Disturbi Mentali

 

Come detto, l’idea alla base del termine ‘malattia mentale’ è che ci sia un preciso processo organico che si situa alla base di alcune alterazioni del comportamento – qualcosa nel corpo è malato, come accade in patologie come il Parkinson e l’Alzheimer. ‘Disturbo’, invece, è un termine più vago: esso deriva dal latino (dis)turbare, scompigliare violentemente, disperdere. Rimanda, insomma, ad un equilibrio che si è rotto, un’interazione fra componenti che si è modificata, una proporzione sbilanciata. Il termine ‘disturbo’ in psicopatologia si collega all’idea che esistano una serie di equilibri dinamici, instabili e flessibili che regolano il nostro relazionarci con noi stessi, gli altri e il mondo. Equilibri che possono essere turbati, creando (dis)turbi.

 

Attenti alla malattia mentale!

 

Sempre maggiori sono le voci autorevoli che si levano, contestando il concetto di Malattia Mentale. L’ipotesi che le patologie della mente e del comportamento si costruiscano a partire da malfunzionamenti biologici o genetici non è mai stata provata definitivamente (Paris, 2015); tutt’al più vi sono prove che alcune sostanze possono aiutare in alcune situazioni – pensiamo ad esempio al litio con i disturbi bipolari. Ma pensare che la soluzione ad un problema rappresenti anche la sua spiegazione costituisce un errore epistemologico basilare; si tratta infatti dell’inversione di un semplice ragionamento logico lineare (Bentall, 2004) – se in casa mia fa freddo, accendo il riscaldamento e la scaldo. Ma difficilmente posso sostenere che “casa mia è fredda perchè il riscaldamento è spento”, e così via. Rispetto all’efficacia degli psicofarmaci nel trattamento di specifiche patologie psicologiche, i risultati sono ancora incerti, sebbene alcuni (Breggin, 2008) abbiano sollevato più di una perplessità rispetto all’efficacia di ricerche finanziate dalle industrie farmaceutiche.

 

Problemi educativi o problemi sanitari?

Sembra invece che vi sia la spiacevole tendenza a trasformare problematiche sociali, familiari ed educative in (presunte) malattie organiche. Negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente le diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, e secondo alcune ricerche (Bruchmuller et al., 2012) le diagnosi di Disturbo dell’Attenzione e dell’Iperattività soffrirebbero di errori legati agli stereotipi di genere o sociali (LeFever et al., 1999), nonchè di quelle legate all’età (Frances, 2013). Per quanto assurdo possa sembrare, i bambini nati nell’ultimo mese incluso nell’assegnazione al gruppo classe, quelli più piccoli e quindi più immaturi, sembrano correre maggiori rischi di contrarre la “malattia” (Morrow, 2012). Come si può immaginare, la questione è ancora controversa (Sciutto et al., 2007), anche se da più parti si sono sottolineate alcuni possibili “vantaggi” della diagnosi, tra cui quello di ottenere rimborsi e ore gratuite di supporto scolastico, dato che la farmacologia ha mostrato unicamente un valore contenitivo a breve termine (Lakomski, 2009). 

 

Le ‘mode’ diagnostiche

E’ difficile per i “non addetti ai lavori” capire come mai in psicopatologia ed in psichiatria periodicamente si creino nuove ‘mode diagnostiche’. Soprattutto se le compariamo alla medicina, in cui è difficile sentir parlare della “moda per la polmonite o per la sclerosi multipla”. Ma bisogna capire che la psicopatologia è anche figlia della psicologia, ed in quanto tale sorella di altre scienze umane. Soprattutto ai suoi inizi, la psicopatologia (a parte la scuola del già citato Kraepelin) era consapevole di trattare una materia che richiedeva metodi e concetti differenti da quelli delle altre discipline mediche; purtroppo tale consapevolezza è scomparsa nel tempo e negli ultimi decenni si è sforzata di scimmiottare, nello sforzo scientista (nonchè epistemologicamente ingenuo) di trattare la patologia mentale con la stessa efficienza protocollare di una ciste, un osso rotto o un’infezione cutanea.

Purtroppo però, le mutevoli manifestazioni della sofferenza umana difficilmente si lasciano imprigionare nelle categorizzazioni, e generano sempre nuove maschere del disequilibrio e del dolore. Questo mette in difficoltà coloro che credono nel concetto di malattia mentale, che si trovano, seguendo i loro stessi criteri, a dover aumentare il numero di patologie della psiche, inventando nuovi termini per descriverle.

Il risultato è una giungla di diagnosi nella quale il clinico fatica a districarsi: ecco che alcune di queste, per semplicità, comodità o suggestione, vengono utilizzate come diagnosi “spazzatura”, quelle in cui finiscono le patologie che non rientrano nelle altre. E’ il caso del disturbo Borderline e del disturbo Bipolare in tempi recenti, della Schizofrenia negli anni ’70.

In più, come sostiene Paris (2012), ogni clinico “tira acqua alla propria diagnosi”, se mi passate l’amara ironia. Mi spiego meglio: sono preparato e pronto sui disturbi della personalità? Tenderò a riconoscerne dappertutto, magari una versione mascherata che dà origine a sintomi diversi. Sono in grado di trattare i disturbi da stress post-traumatico? Incapperò ovunque in traumi e in reazioni dissociative da stress – chi non ha qualche trauma nel suo passato? E via così, di diagnosi in diagnosi.

 

Il sano scetticismo del clinico

Troviamo dunque che i clinici debbano sviluppare un sano scetticismo verso ogni ‘verità rivelata’, verso ogni certezza acquisita o ereditata, anche verso le proprie. Egli deve quindi avere la disponibilità a cambiare molte volte idea, sulla base delle nuove informazioni che acquisisce. Deve evitare di aggrapparsi ad ogni scoglio sicuro, imparando a navigare in mezzo alle incertezze di ciò che riguarda l’uomo.

Questo però presuppone la tolleranza all’incertezza, una caratteristica notoriamente difficile da acquisire. Ma solo in questo modo egli potrà essere in grado di scegliere, di volta in volta, la teoria, la diagnosi o l’intervento più appropriato a quel paziente in quel momento.

Dopotutto, come ha detto Erich Fromm,

“L’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le sue possibilità”

 

 

 

Bibliografia

Bruchmüller, K., Margraf, J., & Schneider, S. (2012). Is ADHD diagnosed in accord with diagnostic criteria? Overdiagnosis and influence of client gender on diagnosis. Journal of consulting and clinical psychology, 80(1), 128.

Bentall, R. P. (2004). Madness explained: Psychosis and human nature. Penguin UK.

Breggin, P. (2008). Brain-disabling treatments in psychiatry. Second Edition. Springer: New York.

Frances, A. (2013). Primo, non curare chi è normale. Contro l’invenzione delle malattie. Milano: Bollati Boringhieri.

Lakomski, C. (2009). ADHD As An Epidemic. Letter from the Editors, 24.

LeFever, G. B., Dawson, K. V., & Morrow, A. L. (1999). The extent of drug therapy for attention deficit-hyperactivity disorder among children in public schools. American Journal of Public Health, 89(9), 1359-1364.

Morrow, R. L., Garland, E. J., Wright, J. M., Maclure, M., Taylor, S., & Dormuth, C. R. (2012). Influence of relative age on diagnosis and treatment of attention-deficit/hyperactivity disorder in children. Canadian Medical Association Journal, 184(7), 755-762.

Paris, J. (2015). Lo spettro bipolare. Diagnosi o moda? Milano: Raffaello Cortina.

Salvini, A. Eccessi nosografici e abusi diagnostici: il caso della “Vigoressia”. SCIENZE DELL’INTERAZIONE, 7.

Sciutto, M. J., & Eisenberg, M. (2007). Evaluating the evidence for and against the overdiagnosis of ADHD. Journal of attention disorders, 11(2), 106-113. 

 



Giacomo Crivellaro; Psicoterapia Breve Strategica e Ipnosi a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Psicologo Psicoterapeuta a Firenze, Parma e Montevarchi (Valdarno)
Sono Psicologo Psicoterapeuta. Diverse esperienze lavorative in alcuni ambiti della Salute Mentale mi hanno portato ad approfondire la Terapia Breve Strategica, approccio che considero il migliore, in ambito psicoterapeutico e non solo. Sono un curioso impenitente, un critico impietoso (anche verso me stesso, ahimè!) e un lettore accanito. Ricevo come Psicologo Psicoterapeuta libero professionista nei miei studi di Firenze, di Parma e a Montevarchi (AR), dove collaboro con il Centro ABA e Psicoterapia Valdarno della Associazione Vento a Favore, di cui sono socio fondatore. Sono Psicoterapeuta Ufficiale e Ricercatore del Centro di Terapia strategica di Arezzo.


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